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HomeCultura Calò (Centro di Cultura Ebraica): “Dal 7 ottobre l’antisemitismo occidentale è sdoganato”

"Dal 7 ottobre 2023
l'antisemitismo occidentale
è stato sdoganato"

Il peso della memoria per Giorgia Calò

coordinatrice centro cultura ebraico

di Irene Di Castelnuovo27 Gennaio 2025
27 Gennaio 2025

Giorgia Calò, Centro di Cultura Ebraica | Foto Ansa

ROMA – Oggi per la 79esima volta si celebra il giorno della Memoria. Per ricordare quando nel gelo del 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa entrò nel peggior campo di sterminio nazista, facendo scoprire al mondo gli orrori del nazismo. Una memoria che deve resistere. Affinché il “che non accada più” possa essere qualcosa più di una eco che aleggia nell’aria contaminata dall’odio. Abbiamo chiesto a Giorgia Calò, coordinatrice del centro di cultura ebraica di Roma, il significato di questo giorno a 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale.

Negli ultimi tempi si parla molto di antisemitismo, come se “ebrei” fosse un sinonimo “sionisti”. Ritiene che questa vicinanza tra i termini sia effettiva?

“Potrei risponderle su tanti piani. Nel corso dei secoli l’antiebraismo è stato chiamato in modi diversi: in un passato remoto si parlava di antigiudaismo, accusando gli ebrei di deicidio. Poi si è passato al termine antisemita con delle connotazioni economico-razziali, in seguito alla pubblicazione di libri diffamatori tra l’Ottocento e il Novecento, come i Protocolli dei Savi di Sion. Infine ha acquisito una denotazione geopolitica, ovvero antisionismo, dietro il quale si nasconde lo stesso sentimento. Non posso accettare il fatto che chi si dichiara antisionista e sia antisemita, è una contraddizione in termini. È un’intolleranza per tutto ciò che è israeliano e per tutto ciò che è ebraico”.

La comunità ebraica di Milano ha deciso di disertare l’incontro nelle scuole organizzato dall’Anpi a causa delle posizioni dell’associazione su Gaza. La comunità di Roma è concorde con questa scelta?

“Non posso darle una risposta politica, ma mi sento molto d’accordo e molto vicino alla scelta della comunità. Non si può restare a affianco a delle realtà così subdole”.

Sta facendo riferimento all’Anpi?

“Sì”.

Oggi sono 80 anni dalla liberazione di Auschwitz e i sopravvissuti stanno morendo. Secondo lei la memoria è destinata a scomparire con loro?

“È la grande preoccupazione sin da subito. Da oggi lo è ancora di più dato che non si porta più avanti una memoria. La preoccupazione è che i sopravvissuti vengano offesi, trattati male”.

C’è però un’ampia filmografia che ha mantenuto vivo il ricordo, anche quest’anno. Proprio in Italia è uscito il film Liliana, che ripercorre la vita della senatrice Segre, ma alcune sale hanno rinunciato alla proiezione. Qual è il motivo di queste polemiche?

“Sono dei segnali tragici, in primis il fatto che una senatrice debba rinunciare a delle attività culturali: stiamo ritornando a una visione dell’assurdo. Pierluigi Battista ha scritto qualche giorno fa (23 gennaio 2025 ndr) un articolo su Il Foglio titolato Memoria ipocrita: dal 7 ottobre l’antisemitismo dell’occidente è stato sdoganato, una vera e propria disfatta culturale. Anche la cultura deve fare i conti con queste recrudescenze”.

Che ruolo ha l’arte nella memoria? 

“L’arte ha un ruolo fondamentale, perché alcuni artisti sopravvissuti, ma anche chi è stato ucciso in quei campi di concentramento,  hanno lasciato una fotografia degli orrori dei lager Germania e delle leggi razziali in Italia. Tra questi Salomon Charlotte e Felix Nussbaum – entrambi uccisi ad Auschwitz – per quanto riguarda i tedeschi. In Italia abbiamo Aldo Carpi, che torna da Dachau e lascia la testimonianza di ciò che vide lì”.

E nell’arte contemporanea?

“Beh, c’è il ramo dell’arte contemporanea che cerca di elaborare una memoria collettiva pur non avendo vissuto in prima persona gli eventi. Un esempio è Fabio Mauri, dagli anni ‘70 uno degli esercizi più alti. Ha invitato a riflettere sul nostro ruolo nella società e a porci delle domande: la responsabilità di una società civile, acculturata, moderna come quella dell’Europa occidentale, che in questo senso ha perso. Un grande contributo arriva anche da Bauman con il suo saggio Modernità e Olocausto”.

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