Lontana dalle sezioni e dai congressi di un tempo, una rivoluzione silenziosa attraversa la politica italiana del futuro. A decidere il destino dei giovani militanti non sono più le classiche scuole di partito del Novecento. Al posto degli austeri ritiri di un tempo ci sono campus estivi, hotel di lusso e convention itineranti. Qui migliaia di under 30 cercano visibilità, magari a pagamento.
Un sondaggio Ipsos per l’Istituto Toniolo dello scorso maggio ha fotografato il paradosso: il 76,4% degli under 34 “si interessa alla politica”, ma il 62,3% “non trova spazi reali per partecipare”. Così l’accesso passa sempre più attraverso corsi, trasferte e giornate di formazione intensive. Una selezione continua in cui contano presenza scenica e capacità comunicativa e spesso, appunto, disponibilità economiche. Le scuole diventano un filtro: più che formare, decidono chi entra e chi resta fuori da una futura carriera che potrebbe spaziare da un consiglio municipale al Parlamento a, chissà, una carica governativa.

Dentro le scuole dei partiti più grandi
Ogni partito forma la classe dirigente “a modo suo”. Per Fratelli d’Italia, spiega il presidente di Azione Universitaria Nicola D’Ambrosio, la formazione non si limita alla militanza: si lavora su capacità di governance e rappresentanza. E “Fenix” – la festa di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile nella quale a suo tempo militò anche la premier Giorgia Meloni – è il test di fine percorso, dove si capisce chi è pronto a entrare nel partito dei più grandi.
Il Pd punta sulla scuola di formazione come tratto identitario: “Abbiamo organizzato le ultime due edizioni a Frascati (Roma), non lontano dalle Frattocchie, dove si teneva la scuola del Pci”, dice Marwa Mahmoud, responsabile nazionale per la formazione dem. In realtà, alcuni militanti dei Giovani Democratici (la giovanile del Pd) frequentano anche la Scuola di Politiche fondata nel 2015 dall’ex premier Enrico Letta: “Nessuna quota di iscrizione – dice l’ex allievo Carlo De Tommaso – ma vitto e alloggio erano a carico nostro. Avrò speso sui 600 euro in un anno. Ma sotto una certa soglia di reddito rimborsavano le spese di viaggio”.
Pasquale Tridico, coordinatore della scuola di formazione del M5S, prova a marcare una separazione dai competitor: “La nostra scuola ha una struttura continua: dalle lezioni in presenza ai corsi online tematici”. Opportunità a costo zero: “Siamo contro una politica censitaria”, sottolinea l’ex presidente Inps.
Ci sono scuole che non sono per tutti
Per Italia Viva la formazione è sinonimo di Leopolda. Francesco Langella, 27 anni, militante del partito fondato da Matteo Renzi, racconta così l’ultima edizione della convention: “C’erano ragazzi anche di 18 o 19 anni, ma nessuno è stato spinto a tesserarsi. Però per partecipare all’appuntamento ci è stato chiesto un ‘contributo simbolico’ di 100 euro per il partito (viaggi esclusi)”.
Forza Italia Giovani scommette, invece, su un approccio strategico: public speaking, formazione della leadership e lezioni di comunicazione. “Del resto, siamo pur sempre eredi di Berlusconi”, rivendica il segretario della giovanile di FI Simone Leoni. “Ad ‘Azzurra libertà’ (la festa nazionale di FI Giovani – ndr) i ragazzi erano tutti paganti”, spiega Leoni. Un totale che, considerando iscrizione e trasporti (vitto e alloggio non inclusi), si aggira tra le 200 e le 300 euro.
La Lega sembra mantenere un approccio più strutturale. L’ex ministro Armando Siri organizza la scuola su tre anni. Ogni ciclo formativo costa però 350 euro (vitto, alloggio e viaggi da e verso Roma esclusi). I più promettenti vengono lanciati subito. È il caso di Gemma Peri, 20 anni, ex allieva della scuola poi candidata al Consiglio regionale della Toscana: “Ero seconda in lista. Per la Lega non è andata bene, ma a livello personale ho ricevuto un ottimo consenso”.

I casi Avs, Azione e Più Europa
Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli propongono ai giovani di Avs campeggi estivi e momenti di discussione durante l’anno. “Tutto gratuito – sottolinea Fratoianni – L’obiettivo è offrire percorsi accessibili a tutti”.
Marco Zannino, responsabile di Azione Under 30, racconta che durante la seconda edizione della scuola di formazione, ai ragazzi è stato chiesto di sfidarsi in una challenge a squadre, con diverse prove, tra cui una gara di dibattito pubblico.
Per il segretario di Più Europa Riccardo Magi, profondamente contrario sia alla creazione di un movimento giovanile legato al partito che all’idea stessa di una scuola di formazione, la politica si impara sul campo: “Se il tema li riguarda, i giovani rispondono. Le campagne su cannabis e cittadinanza hanno registrato adesioni altissime tra gli under 30. Il nodo non è l’apatia, ma saper intercettare quella domanda”.
Le Frattocchie e la Camilluccia sembrano un ricordo lontano
I giovani rispondono. Le aule si riempiono. Gli eventi vanno sold out. Ma decifrare questo fenomeno non è semplice neanche per gli esperti. Per la storica Anna Tonelli, docente di Storia contemporanea all’università di Urbino e autrice del libro A scuola di politica: il modello comunista di Frattocchie, la risposta è una sola: “Le nuove scuole politiche non hanno nulla a che vedere con quelle del passato”. Quelle del Novecento – le Frattocchie del Pci, la Camilluccia della Dc, i seminari craxiani del Psi – avevano un obiettivo preciso: formare la futura classe dirigente dello Stato. Duravano mesi, talvolta anni. E i partiti sostenevano economicamente i giovani. Oggi, dice Tonelli, “si cerca più la vetrina che la formazione, a volte è più casting che scuola”.
Paolo Cirino Pomicino, esponente di spicco della vecchia Dc e figura di rilievo nella Prima Repubblica, rilancia la stessa tesi: “Senza partiti, le scuole politiche sono un controsenso”. Per l’ex ministro l’Italia non ha perso solo la formazione: ha perso i partiti come istituzioni politiche, culturali ed educative: “I percorsi di oggi diventano iniziative estemporanee di leader o gruppi dirigenti. Ma i partiti stessi sembrano più comitati elettorali che non spazi dove coltivare una cultura comune”.
Il politologo Gianfranco Pasquino chiude il quadro con questa constatazione: “Anche volendo, oggi sarebbe difficile ricostruire una vera scuola politica. Mancano i docenti, le idee, l’identità”.
Formazione o selezione? Il confine sottile
Il panorama è frammentato e competitivo. Ogni partito ha un proprio “modello”. Intanto i fatti mostrano una trasformazione netta: la formazione politica non serve più a far crescere una classe dirigente, ma solo a selezionarla. I partiti cercano volti forti, storie spendibili, capacità comunicative immediate. I giovani, dal canto loro, accettano la sfida pur di fare carriera. Se questo “casting permanente” produrrà una generazione di amministratori competenti o soltanto uno sterile ricambio generazionale, lo dirà il tempo. Ma una cosa è già chiara: la selezione è in corso.


