Persone con mascherine per proteggersi dal Coronavirus in piazza affari davanti all'ingresso della Borsa a Milano, 24 gennaio 2020.ANSA/Mourad Balti Touati

Mascherine e dpi scomparsiParla il commissario Arcuri"Il sistema si è inceppato"

Materiali "inviati" da Protezione Civile ma non risultano arrivati alle Regioni

In un Paese che è in stato di emergenza dal 31 gennaio e che a causa del Coronavirus ha già pianto più di 8.200 morti, la prolungata mancanza di mascherine protettive è ormai una ferita. E una questione da chiarire.

Ieri mattina, durante la riunione del Comitato operativo nazionale, il commissario unico all’emergenza Domenico Arcuri ha ammesso l’esistenza di una “discrepanza tra il numero di mascherine che inviamo e quelle che arrivano”. Per lui non è chiaro “se è un problema di corriere o di aziende”, ma il meccanismo è “inceppato”. Chiaramente queste parole chiamano in causa la Protezione Civile, cui spetta il compito di garantire la distribuzione del materiale sul territorio nazionale.

Repubblica oggi definisce un nuovo tipo di mascherine, dopo quelle chirurgiche e professionali: quelle “parlate”, cioè esistenti solo sulle carte del governo. Secondo un documento stilato dalla Protezione Civile il 24 marzo la macchina organizzativa capitanata da Arcuri avrebbe recuperato 20.134.865 mascherine, quantità utile per soddisfare circa un quinto del fabbisogno mensile nazionale di dispositivi di protezione individuale (Dpi). Il punto è che lo stesso commissario ha confermato a Repubblica che questi numeri non sono veritieri.

Ci sono tanti esempi di questa “discrepanza”: nel Lazio la Protezione Civile assicura di aver consegnato circa 300.000 mascherine, ma la Regione ne conta appena 55mila, mentre in Lombardia ne risultano scomparse 405mila. In Campania invece il presidente Vincenzo De Luca si è visto recapitare uno stock da 70.000 Dpi solo ieri, dopo aver polemizzato pubblicamente per la mancanza di attrezzature. Soltanto in Piemonte i dati della Protezione Civile coincidono con quelli della Regione, ma si parla di appena 1.800 mascherine professionali.

La disorganizzazione ha provocato uno scontro tra le regioni del Nord e quelle del Sud, che si sentono penalizzate nella distribuzione di mascherine, camici e guanti. Oltre De Luca, anche i presidenti di Sicilia Nello Musumeci, Calabria Jole Santelli e Puglia Michele Emiliano si sono scagliati contro la macchina organizzativa della Protezione Civile. Il dottor Danny Sivo, responsabile pugliese del Sistema di sicurezza del lavoro negli ospedali dice a Repubblica che il problema è l’algoritmo usato per lo smistamento delle mascherine. Per lui “il materiale va distribuito secondo il numero degli operatori sanitari e non dei contagiati”.

Ma la radice del problema potrebbe essere il ritardo con cui il governo si è mosso nell’affrontare l’emergenza. Questa la tesi delle inchieste penali aperte a Torino, Bari, Genova ed Enna: una “prova” a sostegno di questa tesi sarebbe il documento del ministero della Salute, il Piano Pandemico nazionale aggiornato nel 2016. Il testo divide il rischio pandemia in sei fasi, raccomandando azioni precise per ogni step: tra queste, all’inizio del problema, ci dovrebbe essere la “costituzione di una riserva nazionale di Dpi e altri supporti tecnici”, seguita poi dalla “negoziazione per un approvvigionamento sicuro”. Iniziative adottate in ritardo contro il Coronavirus, come il bando d’urgenza Consip per l’acquisto delle mascherine, fatto addirittura il 9 marzo, quando ormai anche altri Stati, sotto l’attacco del Coronavirus, si erano lanciati nella caccia ai Dpi, provocando concorrenza e penuria di materiale sul mercato. Con l’Italia in stato d’emergenza già dal 31 gennaio.

Giulio Seminara

Nato a Catania il 6 dicembre del 1991. Diplomato al liceo classico e laureato in Lettere Moderne con una tesi su Pier Vittorio Tondelli. Ha lavorato a LA7 come programmista e scritto per diversi quotidiani. Appassionato di cinema, politica e calcio. Gioca a ping pong, ascolta i cantautori e i Placebo.