Da Gerusalemme al Cairo.
Le reazioni dei leader religiosi allo storico annuncio

«È un avvenimento senza precedenti, e che di conseguenza ha subito fatto il giro del mondo, la rinuncia di Benedetto XVI al papato». Le parole del direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian, esprimono alla perfezione la portata dell’evento. Inevitabile quindi che da tutto il mondo siano arrivate reazioni  alla scelta di Joseph Ratzinger di lasciare il soglio pontificio. Dalla stampa cattolica ai vaticanisti delle principali testate nazionali, per finire al Cairo e a Gerusalemme, è stato un susseguirsi di dichiarazioni e analisi, spesso discordanti, sul grande gesto.

«Con la sua decisione – spiega Vian nel fondo che apre la storica edizione odierna del quotidiano della santa sede -, che non ha precedenti storici paragonabili (l’ultimo fu Celestino V nel 1294, ndr), Benedetto XVI dimostra una lucidità e un’umiltà che è innanzi tutto, come ha spiegato una volta, aderenza alla realtà». Un gesto che quindi non stupisce, soprattutto per un Papa che come lui «non ha in alcun modo cercato l’elezione al pontificato, una delle più rapide nella storia (…) In questa luce va vista la rinuncia al pontificato (…) Per il Pontefice “è necessario anche il vigore, sia del corpo, sia dell’animo”, vigore che in lui va naturalmente scemando».

Eppure non sono mancate le critiche ad una scelta che a molti è sembrata una rinuncia di fronte alle difficoltà in cui versa la Chiesa cattolica. Nessuno infatti può negare che quello di Benedetto XVI sia stato un pontificato con molte spine nel fianco, caratterizzato da scandali, polemiche e tradimenti, dallo scontro con l’Islam dopo la lectio magistralis di Ratisbona nel 2005, allo scandalo della pedofilia nella chiesa esploso nel 2008 dopo decine di casi denunciati tra Europa e Stati Uniti, alle inchieste sullo Ior –  la banca vaticana – per finire allo scandalo ‘Vatileaks’ degli ultimi mesi. In molti però hanno sottolineato lo stato di salute e l’età avanzata per spiegare le motivazioni del pontefice, una spiegazione che stride con la storia del suo predecessore Giovanni Paolo II, che poche settimane prima di morire pronunciò il famoso «non si scende dalla croce» quando gli fu chiesto se era pronto a dimettersi. Ieri, annunciando le sue dimissioni, Ratzinger ha detto di averlo fatto «per il bene della Chiesa», tanto che, l’arcivescovo di Cracovia, Dziwicsz – per oltre 40 anni segretario personale di Carol Wojtila – ha spiegato: «I dolori della croce vanno affrontati fino in fondo. Ma è profondamente sbagliato fare paragoni con la scelta annunciata da Benedetto XVI. L’attuale Papa ha compiuto un grande gesto perla Chiesa universale».

E se adesso si entrerà «nell’era dei due papi», come scrive Vito Mancuso su Repubblica, ricordando la futura coabitazione del nuovo Papa con il suo predecessore, che ha scelto di continuare a risiedere in Vaticano, per Joaquin Navarro Valls – per 28 anni portavoce di Wojtila e uomo della comunicazione della chiesa -, «nessuno più di Joseph Ratzinger sa che è possibile fare una scelta simile senza impazzire soltanto se si comprende fino in fondo la differenza essenziale che separa l’autorità che è posseduta dal Papa dall’impotenza umana del suo umano detentore».

Il resto del mondo ha invece accolto la notizia chi con stupore e chi con rammarico. Il più dispiaciuto è sembrato essere il rabbino capo  di Israele Yona Metzger, che ha lodato Ratzinger per l’impronta data al dialogo interreligioso sostenendo che nel corso del suo pontificato si siano registrate «le migliori relazioni da sempre trala Chiesae il rabbinato capo». «Gli auguriamo buona salute e lunga vita» ha spiegato Metzger. Eppure i rapporti tra ebrei e cristiani in terra santa non sono stati così idilliaci e ad alcuni rabbini israeliani non è piaciuta la solidarietà mostrata dal Vaticano al presidente palestinese Abu Mazen in occasione della sua richiesta di riconoscimento della Palestina all’Onu.

Pochi i commenti dal mondo musulmano. Da una fonte accademica è trapelata la reazione del grande Imam Al Tayeb di Al-Azhar, l’Istituto più influente dell’Islam sunnita, con sede al Cairo: «Sua eminenza Al Tayeb è rimasto scosso dalla notizia perché per l’Islam quando qualcuno lascia un incarico per motivi di salute non è una buona notizia». Parole che lasciano trapelare una certa riluttanza a voler commentare la decisione. Silenzio dagli ayatollah iraniani, mentre in Libano, paese da sempre diviso praticamente a metà tra musulmani e cristiani, si registrano le parole di Ahmed Abbas, imam di Beirut – dove il Papa si è recato in visita lo scorso settembre -: «Ha pensato prima ai fedeli che a se stesso. Non si è ritenuto proprietario del soglio pontificio ma un tramite e quindi ha lasciato perché non si sentiva più in grado di svolgere la sua missione come avrebbe voluto. Lo trovo un atto di grande generosità». Sul fronte cristiano ortodosso invece, il Patriarca di Mosca ha espresso il desiderio che col nuovo pontefice «il dialogo ecumenico trala Chiesacattolica e ortodossa vada avanti».

Carlo Di Foggia