Vittorio Rizzi, vicecapo della polizia

"Grazie a I-Can è natauna squadra internazionalecontro la 'ndrangheta"

Vittorio Rizzi, vicecapo della polizia “Ora il fenomeno è sotto i riflettori”

Gli affari della ‘ndrangheta non conoscono confini. È proprio su questa irrefrenabile espansione che vuole far luce il progetto I-Can, di cui Vittorio Rizzi, vicecapo della polizia, è stato promotore. Dall’iniziativa è nata una banca dati, la quarta più grande al mondo tra quelle delle forze di polizia, che ha consentito la cattura di 48 latitanti in 28 Paesi diversi. Un complesso lavoro di cooperazione tra le forze dell’ordine che ha messo la ‘ndrangheta “sotto i riflettori della giustizia internazionale”.

Da quale necessità nasce e che cos’è il progetto I-Can, l’Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta?

“Il progetto I-Can prende avvio da una riflessione: una parte sempre maggiore dei report sulla criminalità organizzata viene riservata alla colonizzazione delle associazioni criminali italiane, in particolare della ‘ndrangheta, in altri Paesi del mondo. Di conseguenza, abbiamo voluto capire se ci fosse una consapevolezza internazionale di questa espansione. Incontrando diversi colleghi delle forze dell’ordine straniere, infatti, ci siamo resi conto che molti di loro non ne conoscevano nemmeno l’esistenza. Così, all’assemblea generale dell’Interpol di Santiago del Cile del 2019, abbiamo proposto l’idea di creare I-Can, un coordinamento internazionale sia informativo che operativo”.

Il progetto ha ottenuto i risultati sperati?

“Decisamente. Grazie a I-Can abbiamo creato una banca dati investigativa, la quarta per grandezza e importanza tra quelle delle forze di polizia di tutto il mondo. Numeri importanti anche quelli degli arresti: abbiamo fermato 97 persone, di cui 48 latitanti, in ben 28 Paesi diversi. Numeri che hanno portato a una grande richiesta di adesione al progetto da parte di altri stati: all’inizio hanno preso parte 10 Paesi, ora ne conta 18”.

In cosa consiste il piano operativo di I-Can?

“Il primo step è quello di creare awareness, ovvero conoscenza e consapevolezza. Abbiamo cominciato scambiandoci informazioni. Il passo successivo è stato quello dello sviluppo e dell’analisi, cosa che ha permesso la creazione della nostra grande banca dati. Ultimo passo – e questo è il valore aggiunto di un progetto come I-Can – è l’attività operativa: noi, di fatto, diventiamo una squadra comune. Per fare un esempio: se in Georgia individuiamo un latitante, possiamo muoverci più ad ampio raggio. Un conto infatti è parlare con le forze di polizia georgiane e inviare un’informazione, un altro invece è avere in Georgia un contingente di agenti specializzati sulla ‘ndrangheta che sanno esattamente come agire. È il modello che l’Interpol adotterà in tutte le prossime progettualità”.

A proposito di azione internazionale: come si localizzano le ‘ndrine sul territorio internazionale?

“In alcune realtà estere ci sono le locali di ‘ndrangheta: ne sono state individuate in Francia e in Germania; in altri casi, invece abbiamo trovato ‘ndranghetisti che sono diventati imprenditori, sono diventati manager. In altre parole, hanno colonizzato i territori, senza replicare il metodo mafioso che c’è in Italia”.

Proprio a causa di questa diversità tra ‘ndrangheta in Italia e negli altri Paesi, bisogna chiedersi anche quali sono le difficoltà riscontrate da un approccio internazionale al contrasto della ‘ndrangheta…

“Mentre è più semplice parlare di cooperazione di polizia, è più difficile parlare di cooperazione giudiziaria. Non è possibile infatti canalizzare in una logica verticistica la struttura della magistratura, chiaramente. Almeno in Europa, però, sono già stati fatti passi da gigante con la realizzazione degli Joint Investigation Teams, ovvero i gruppi di investigazione congiunti, quindi con un funzionale dialogo tra le magistrature. Ma per questo parlavo di “consapevolezza”, come parola chiave. Perché grazie a quella consapevolezza, la ‘ndrangheta è entrata tra le minacce transnazionali e così facendo è stata messa sotto i riflettori da parte della giustizia internazionale”.