Nel bosco di Rogoredo, in cerca di una via d’uscita

“Il boschetto di Rogoredo è un posto paragonabile all’inferno ma non deve diventare un ghetto”. Alla vigilia di Natale, in quella che ormai si può definire la maggiore piazza di spaccio di Milano, la scrittrice Annarita Briganti e altri volontari della comunità Il Gabbiano e della Fondazione Eris hanno organizzato un inedito incontro di lettura con giornalisti, scrittori, politici e volontari. L’intento è stato quello di “portare bellezza laddove c’è devastazione con racconti, storie, letture e la distribuzione del pranzo di Natale a coloro che si drogano”.

Per aiutare le ragazze e i ragazzi del boschetto si sta mobilitando una Milano positiva, solidale, formata da volontari, ma spesso anche genitori, da parenti e da ex consumatori di droga.

Volontari come Alessandro Maraschi, missionario e abitante del quartiere. “Il boschetto è la punta di un iceberg di un disagio giovanile più grande di quello che riusciamo a percepire”. Un luogo dove i tossicodipendenti, molti dei quali minorenni, trovano una dose a soli due euro, vivono nella sporcizia, abbandonati a sé stessi in un letto di siringhe e rifiuti.

“Se ho relazioni sane non ho bisogno dell’alcool e delle droghe” prosegue Alessandro Maraschi. “I rapporti riempiono la vita. Quando lavori con i giovani e vai a toccare certe corde, senti che vibrano, si avverte la sete di bellezza”. I volontari e le varie associazioni milanesi che intervengono nella piazza di spaccio basano il loro lavoro proprio sulla relazione con i tossicodipendenti.

“Eravamo di turno nei pressi di Rogoredo, un ragazzo si è avvicinato e ci ha chiesto aiuto per disintossicarsi, io non ci ho dormito la notte. È stato allora che abbiamo deciso di creare una squadra di intervento solamente per la zona della stazione”. Così racconta Sergio Greco, responsabile dei servizi socio assistenziali del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta di Milano che inaugurerà il nuovo turno a Rogoredo mercoledì 6 febbraio.

Oltre la riduzione del danno
Il progetto regionale di riduzione del danno, finanziato da fondi europei, è il principale strumento di intervento per le numerose associazioni milanesi. “Distribuiamo preservativi, siringe, acque distillate, tamponcini, narcan, lacci emostatici. Tutti strumenti utili per permettere alle persone di farsi in modo pulito e sicuro”, spiega Rita Gallizzi responsabile dell’area consumi, abusi e dipendenze di Cooperativa lotta all’emarginazione. “Ridurre il danno significa proteggere la loro vita e evitare che contraggano malattie, soprattutto quelle sessuali”.

La riduzione del danno ha carattere conservativo ma pone le fondamenta per un livello di intervento ulteriore. La responsabile del Comune di Milano per il coordinamento delle emergenze sociali, Miriam Pasqui ci ha spiegato: “Quando viene consegnato un bene, per esempio le siringhe, questo deve essere funzionale alla costruzione della relazione. L’oggetto rappresenta un mezzo non il fine. Il personale deve essere sufficientemente formato per sapersi avvicinare al livello della persona per parlare”.

Un muro che allontana
Gli interventi repressivi, le retate, gli arresti e la costruzione del muro in via Orwell non hanno modificato il fenomeno. Lo hanno, piuttosto, spostato. Molti tossicodipendenti si sono diretti a San Giuliano Milanese, Lodi e Cernusco sul Naviglio. L’emergenza sociale rimane. Secondo Alberto Barni, presidente del CEA e responsabile delle dipendenze per Comunità Nuova, “L’intervento muscolare non è servito. Passate amministrazioni hanno cercato di forzare le persone a seguire dei programmi riabilitativi. Non serve. Le persone devono scegliere volontariamente un percorso riabilitativo”.

Il tempo è l’alleato essenziale per ogni tipo di intervento. Ne I Principi del trattamento della dipendenza di droga del 2018, pubblicata dal National Institute on Drug Abuse, si legge “La dipendenza è un disturbo. Molte persone non possono solamente smettere di utilizzare la sostanza per alcuni giorni e essere curati. I pazienti hanno bisogno di un intervento a lungo termine”. Come spiega Antonio Florani, medico e psicoterapeuta e direttore del Centro LiberaMente di Genova, i tossicodipendenti, nel primo periodo delle prime assunzioni, vivono un periodo di innamoramento con la sostanza chiamato “luna di miele”. In tale fase, l’incontro con la droga crea un profondo benessere. È nel lungo periodo che il tossicodipendente chiede aiuto, quando il piacere tende progressivamente a svanire per fare spazio all’astinenza.

Una possibile via di uscita
“Quando ho iniziato avevo 14/15 anni e da quel momento tutti i giorni cercavo la dose. Rubavo nei supermercati e quando c’era la nebbia a Milano facevo rapine per drogarmi”. Marco è un ex tossicodipendente che abbiamo incontrato nel Boschetto di Rogoredo, in occasione dell’incontro organizzato il 24 dicembre. “L’eroina è devastante. – prosegue Le emozioni svaniscono, come la vergogna per quello che stai facendo perché sei sporco, in mezzo alla strada, non ti curi e puzzi. La cosa brutta sai cos’è? Che vieni isolato”.

Marco si è disintossicato da sette anni e si trova nel Boschetto per cercare sua nipote che ha iniziato a drogarsi. Dopo un lungo periodo di cure, ha identificato il suo nemico: la paura. “Il mio problema era gestire le mie emozioni. Mi spaventavano, allora mi drogavo. A un certo punto mi son detto: “Perché devo aver paura?” Allora ho scelto un programma terapeutico. Mi hanno insegnato ad entrare in contatto con le emozioni e a gestirle. È stata dura, ma ho imparato a entrare in contatto con le emozioni e a gestirle. La strada continua”.