Panoramica dell'aula nel corso della discussione del ddl n. 1741 di conversione del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 sulla gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 al Senato, 4 marzo 2020. ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI

Il Parlamento e l'epidemiaCeccanti (Pd): "Il rischio èche faccia tutto il governo"

"I contagi in aula possono causare una distorsione della rappresentanza"

Parlamento chiuso, elezioni sospese, ricorso a decreti ministeriali che escludono le Camere e i rappresentanti dei cittadini da ogni forma di controllo sulle decisioni prese dal governo. Dopo che il coronavirus ha costretto l’Italia intera in quarantena, ci si interroga sulle ripercussioni sulla democrazia nel nostro Paese. “C’è il rischio che non pensando per tempo a soluzioni innovative le regole vigenti si rivelino inadeguate e faccia tutto il Governo reiterando i decreti”, spiega a LumsaNews il professor Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Partito Democratico.

Come si può permettere alle Camere di esercitare le loro funzioni e al tempo stesso salvaguardare la salute dei parlamentari e delle persone che vi lavorano?
“Bisogna considerare seriamente l’ipotesi di far lavorare le Commissioni in videoconferenza e l’Aula col voto a distanza”.

Perché in Italia un medico, un infermiere, ma anche un tabaccaio o un cassiere nei supermercati possono lavorare, rischiando il contagio, e un rappresentante dei cittadini dovrebbe evitarlo?
“Perché un’Assemblea rappresentativa può essere snaturata dal contagio. Intere zone potrebbero essere non rappresentate o essere casualmente capovolti i rapporti tra maggioranza e opposizione”.

Stefano Ceccanti, professore di diritto pubblico all’Università “La Sapienza” e deputato del Pd (© stefanoceccanti.it)

In Spagna utilizzeranno il voto online, si potrebbe fare anche in Italia?
“È uno strumento utilizzato anche dal Parlamento europeo. Ad oggi non c’è nessuna norma che lo impedisca”.

Il presidente della Camera Roberto Fico ha contestato l’idea di voto da remoto. Non trova singolare che il rappresentante di un partito che ha fatto della “società digitale” uno dei suoi cavalli di battaglia, in questo momento la avversi?
“Capisco perfettamente che nel suo ruolo sia portato ad essere più prudente, ma il rischio di paralisi parlamentare è alto”.

Gli italiani sembrano indifferenti alla chiusura del Parlamento: pensa sia dovuto all’antipolitica capillarmente diffusa nel Paese? 
“Questo non lo so. Ma so che il nostro dovere, in quanto parlamentari, è tutelare l’equilibrio tra i poteri anche in questa fase”.

Il governo ha utilizzato i Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, provvedimenti che non prevedono il controllo preventivo del Presidente della Repubblica né quello del Parlamento, per rispondere all’emergenza. Non era meglio ricorrere a un decreto legge, così da prevedere un successivo passaggio alle Camere?
“Sì, anche perché avrebbe ridato un peso al Parlamento ed alcuni di quei contenuti sarebbero stati inclusi nell’iter di conversione, discussi e magari modificati”.

Federico Marconi

Roma, 1993. Dopo la maturità scientifica abbandona i numeri per passare alle lettere: prima di approdare alla Lumsa studia storia contemporanea a La Sapienza e giornalismo alla Fondazione Basso. Ha prodotto un web-doc per ilfattoquotidiano.it e collabora con L’Espresso