Tagli, licenziamenti, stipendi da fame. Ma soprattutto un contratto nazionale di lavoro fermo dal 2016. Dieci anni tra pochi mesi. È per questo che i giornalisti italiani hanno scioperato il 28 novembre. Una mobilitazione che ha messo in luce una frattura profonda nel mondo dei media tradizionali, già scosso da cambiamenti radicali come l’avvento dell’Intelligenza artificiale. In questo scenario, emerge anche un clima crescente di intimidazioni e attacchi. Non da ultimi, l’attentato al conduttore di Report Sigfrido Ranucci e l’irruzione degli antagonisti pro-Pal nella redazione de La Stampa al grido di “giornalista ti uccido”.
Più tutele e meno ricatti, anche per i giovani
Rendere i giornalisti meno ricattabili a livello economico, assicurare più tutele e preservare il pluralismo dell’informazione è l’obiettivo della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi). “Vogliamo spingere gli editori a guardare al futuro senza continuare a tagliare il presente”, si legge nel documento che ha motivato la mobilitazione. La trattativa tra il sindacato e gli editori per il rinnovo del contratto al momento è sospesa. Come spiega a Lumsanews la segretaria della Fnsi Alessandra Costante, la loro idea è quella di risparmiare sui nuovi assunti. Il contratto sarebbe depotenziato del 20% rispetto ai minimi oggi in vigore per chi comincia a lavorare. Una divisione che colpirebbe soprattutto i giovani.
Normare l’IA e aumentare gli stipendi, a cosa punta la Fnsi
La Fnsi, poi, chiede di regolamentare l’uso dell’Intelligenza artificiale. “Gli editori non vogliono regolamentarla per via contrattuale”, ribadisce Costante. Le prospettive future non sono rosee: “Se non mettiamo dei paletti occupazionali, l’IA presto sostituirà il 30% dei giornalisti, almeno di quelli che lavorano ai desk”. Il sindacato si dice pronto a riprendere il confronto con gli editori, ma solo a fronte di un’offerta economica più solida. “Avevamo comunque chiesto un aumento di 250 euro”, dice Costante, “ma la loro risposta è stata di 120 euro e poi di 150”.

La crisi dell’editoria e la concorrenza sleale degli over the top
Dal canto suo, la Federazione italiana editori giornali (Fieg) riconosce la necessità di rimodulare il contratto, ma in una direzione diversa rispetto al sindacato. In una nota, la Fieg ha evidenziato come “il modello di business dei media tradizionali si è dovuto misurare con la concorrenza sleale degli over the top come Google o Meta, che sfruttano economicamente i contenuti editoriali trattenendo la maggior parte dei ricavi pubblicitari e dei dati”. Un punto su cui interviene Fabrizio Carotti, direttore generale della Fieg, che precisa come occorrerebbe rivedere alcuni elementi del contratto per renderlo più aderente agli attuali livelli economici del settore. Secondo Carotti, il meccanismo contrattuale basato sugli scatti in percentuale “ha salvaguardato dalle perdite del potere d’acquisto legate all’inflazione”. Sul fronte dell’innovazione tecnologica, gli editori puntano a introdurre “regole più flessibili per favorire l’inserimento di giovani professionalità”. Ma rifiutano una regolamentazione sull’IA. Per Carotti “occorre, invece, un approccio etico da parte delle aziende”.
Lo sfruttamento lavorativo, un problema con cui fare i conti
Un altro nodo da sciogliere riguarda il fenomeno del precariato e dello sfruttamento lavorativo, che si collegano all’inquadramento contrattuale. Molto spesso, i contratti di collaborazione tra cronisti e testate – quelli di lavoro autonomo, in sostanza – mascherano l’impiego da dipendente. Un giornalista di un’importante rete televisiva ci racconta sotto anonimato di avere “un lavoro definito su turni, con responsabilità e fasce orarie determinate. Ma tutto questo viene pagato con fattura, con partita Iva, a un’altra società che fornisce servizi a questa emittente”. Il nodo, poi, si concentra sulla retribuzione: “Facendo un conto sul mensile, io prendo 1500 euro lordi, quando la mia paga dovrebbe essere almeno il doppio. I weekend non mi vengono retribuiti come da contratto, ma come qualunque giorno di lavoro, con la scusa che tanto io sono partita Iva”. Una chiara violazione della Carta di Firenze, il documento deontologico che mira a tutelare la dignità professionale dei giornalisti e a garantire un’equa retribuzione.
Informazione sotto attacco, tra minacce e querele temerarie
In questo contesto, si aggiungono le sempre più diffuse intimidazioni ai giornalisti, così come le querele temerarie. Dall’attentato al conduttore di Report Sigfrido Ranucci all’assalto degli antagonisti pro-Pal a La Stampa, la libertà di espressione è sotto attacco. Secondo i dati del report annuale di Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio che monitora gli abusi subiti dai giornalisti, nei primi sei mesi di quest’anno le minacce ai giornalisti sono aumentate del 78% rispetto allo stesso periodo del 2024. Lo conferma il presidente dello stesso osservatorio Alberto Spampinato: “Abbiamo rilevato 361 giornalisti minacciati”. Il primo semestre dello scorso anno erano 203. Ma la cifra reale è molto più alta se si contano anche “le 10 mila querele pretestuose e intimidatorie presentate ogni anno in Italia”.

In questi giorni la Camera ha dato il via libera all’unanimità al recepimento della direttiva europea anti-Slapp, che mira a proteggere i giornalisti da azioni legali abusive e strumentali. La direttiva, però, prevede tutele solo per i giornalisti che ricevono querele temerarie da soggetti stranieri.
L’assalto alla Stampa e il caso Ranucci
Non solo querele. Ma anche attentati. Quella contro La Stampa, chiarisce Spampinato, “è la minaccia più grave degli ultimi anni contro un giornale. Un atto che ricorda gli attacchi squadristi del periodo fascista”. Il punto, dunque, resta la necessità di garantire maggior protezione ai cronisti. “Anche per l’attentato a Ranucci è emerso un aspetto simile”, chiosa il direttore di Ossigeno. Episodi che “ripropongono ancora una volta il problema di valutare più adeguatamente le condizioni di rischio in cui vivono alcuni giornalisti”.

Una categoria sotto stress
Il filo rosso che unisce le tre voci è il riconoscimento di una categoria sotto pressione. Da un lato, il mancato rinnovo del contratto di lavoro giornalistico, la precarietà e il rischio di divisioni generazionali, dall’altro le minacce, le intimidazioni e i tentativi di silenziare l’informazione. Una realtà difficile di cui si parla ancora troppo poco e che fotografa un’esigenza più ampia: restituire dignità a un mestiere essenziale per la democrazia.


