Processo al corvo: Gabriele condannato a diciotto mesi. Probabile grazia del Papa

Un anno e sei mesi di reclusione e il pagamento delle spese processuali: è questa la sentenza pronunciata questa mattina a carico di Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa accusato di aver trafugato documenti riservati del Pontefice.
La sentenza. In realtà la pena di un anno e sei mesi è stata determinata dal riconoscimento di alcune attenuanti perché la condanna effettiva è di tre anni. Queste attenuanti sono:”l’assenza di precedenti penali, le risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento soggettivo, seppur erroneo , indicato dall’imputato quale movente della sua condotta, nonché la dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre”.
Non è ancora chiaro come Gabriele sconterà la pena: per un anno e sei mesi di reclusione potrebbe scattare la condizionale (che garantirebbe la libertà all’ex maggiordomo del Papa), oppure i domiciliari. Non si esclude che il Papa possa concedere la grazia, che annullerebbe l’esecuzione della pena.
L’udienza. L’udienza di questa mattina si è svolta secondo il seguente programma: requisitoria dell’accusa, arringa della difesa e le dichiarazioni dell’imputato.
L’accusa ha confermato il reato di furto aggravato, inoltre ha approfondito un aspetto estremamente significativo per l’esito del processo: la questione di un’eventuale correità. L’ipotesi secondo la quale Gabriele avrebbe agito con il supporto operativo di altre persone è stata smentita. Gabriele avrebbe agito solamente in base alla suggestione di “circostanze ambientali”. La  richiesta era di tre anni, più “l’interdizione perpetua e parziale dai pubblici uffici”, cioè il maggiordomo del Papa avrebbe potuto lavorare nei pubblici uffici, tranne quelli in cui vengono trattati documenti riservati.
L’arringa della difesa si è basata su due argomentazioni essenziali: la intenzioni che avrebbero  mosso Gabriele, e il respingimento dell’accusa di furto dei documenti.
Le intenzioni che avrebbero mosso Gabriele sono secondo la difesa nobili: avrebbe agito per aiutare il Papa ela Chiesa, non per danneggiarli.
Per quanto riguarda l’accusa del furto dei documenti, il ragionamento è il seguente: Gabriele avrebbe utilizzato dei documenti per fini estranei alla loro natura non certo per sottrarli a qualcuno, tutto questo, senza scopo di lucro. Se questo elemento fosse stato dato per buono, Gabriele non sarebbe accusato di furto aggravato, ma di appropriazione indebita, avendo così una pena ben più leggera da quella formulata dall’accusa.
Poi le parole dell’imputato: “La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione diaver agito per esclusivo, direi viscerale amore per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. Se lo devo ripetere, non mi sento un ladro”.