Regionali, 5-2 per il Pd. Sorpresa Toti in Liguria, in Campania vince De Luca

Giovanni Toti eletto presidente della Liguria

Giovanni Toti (Forza Italia), nuovo presidente della Liguria

Molto rumore per nulla, o forse no. Apparentemente le elezioni di domenica scorsa non cambiano un granché: il centrosinistra vince in 5 regioni ed il centrodestra in 2, esattamente come cinque anni fa, anche se c’è stato uno scambio tra Campania e Liguria. Ma a ben vedere, dal voto emergono numerose altre indicazioni, riassumibili in gran parte in una considerazione: rispetto alle Europee 2014 è mancato l’”effetto Renzi”, dato che il premier – che dopo oltre un anno a Palazzo Chigi deve iniziare a rendere conto delle sue scelte di governo – si è impegnato solo in parte. In assenza del suo peso politico personale, per certi versi il Pd sembra essere tornato quello di sempre: non sempre unito al suo interno, in generale poco brillante e con una forza concentrata soprattutto in alcune aree del paese, tutte a sud del Po; anche se è indiscutibilmente dotato di una capacità di tenuta superiore a quella dei suoi avversari. L’altro dato generale di queste elezioni regionali è il crollo di Forza Italia nel voto di lista – anche qui ha pagato l’impegno tardivo e con poco mordente di Silvio Berlusconi – e l’ottimo risultato della Lega (che spesso si presentava in stretta alleanza con Fratelli d’Italia): incassato il successo, Matteo Salvini è ormai pronto per lanciare, nei prossimi mesi, la sua scalata alla guida del centrodestra.

Astensionismo record, bene i grillini. Il primo aspetto macroscopico è però la ripresa della lunga tendenza – interrotta con le Europee 2014, quando ci fu un momentaneo “rimbalzo” – al calo dell’affluenza alle urne, crollata in media a poco sopra il 50%. Questo ha favorito il Movimento Cinque Stelle, che sta dimostrando di avere uno “zoccolo duro” di elettorato piuttosto compatto ed è spesso il secondo partito, anche se i suoi candidati non vincono in alcuna Regione e per mancanza di alleati arrivano addirittura terzi, a parte un exploit nelle Marche.

Zaia è l’unico sopra il 50%. Se si fosse votato con la legge elettorale usata per i Comuni oggi potrebbe festeggiare solo il leghista Luca Zaia, che ha trionfato in Veneto con il 50,1%, nonostante la scissione del sindaco di Verona Flavio Tosi (quarto con l’11,9%). Il “governatore” riconfermato ha più che doppiato la candidata democratica Alessandra Moretti, ferma al 22,7%, e surclassato il grillino Jacopo Berti, terzo con il 10,4%.

Lo psicodramma Liguria. Situazione opposta in Liguria: il consigliere politico di Berlusconi, Giovanni Toti, vince con appena il 34,4% grazie alle profonde spaccature del centrosinistra. Solo seconda la favorita della vigilia, la candidata democratica scelta con le primarie (e assessore uscente) Raffaella Paita, che non è andata oltre il 27,8% a causa del 9,4% raccolto dal candidato civatiano di disturbo Luca Pastorino. Ottima terza, con il 24,8% la brillante ricercatrice universitaria Alice Salvatore, del Movimento Cinque Stelle.

Il futuro psicodramma Campania. Nella Regione più discussa delle ultime settimane alla fine ha vinto Vincenzo De Luca, contro tutto e contro tutti. Il sindaco decaduto di Salerno ha raccolto il 41,2% dei voti, superando di stretta misura il presidente uscente, il forzista Stefano Caldoro (38,4%). Terza Valeria Ciarambino, del Movimento Cinque Stelle, con il 17,5%. Incassata la vittoria, il futuro di De Luca – e della Regione Campania – è però tutto da scrivere: la Corte di Cassazione ha infatti stabilito giovedì scorso che la sospensione per i condannati in primo grado da parte del prefetto è automatica e non discrezionale, e che i ricorsi contro la “legge Severino” vanno presentati al tribunale ordinario e non al Tar. Dunque De Luca sarà sospeso il giorno stesso del suo insediamento e in base allo statuto regionale non dovrebbe neppure avere il tempo di nominare un vice, dato che non può farlo nella prima seduta del nuovo Consiglio. Al premier Matteo Renzi e al suo staff, che tanto si sono spesi nei giorni scorsi per difendere la legittimità della candidatura di De Luca, spetta ora l’onere di trovare una soluzione.

Emiliano vince in Puglia. Tutto facile invece per il Pd in Puglia, dove il carismatico Michele Emiliano non avrebbe nemmeno avuto bisogno delle note divisioni interne al centrodestra: l’ex sindaco di Bari ha infatti vinto con un largo 47,1%. In ordine sparso i suoi sfidanti: seconda è arrivata a sorpresa la grillina Antonella Laricchia con il 18,4%. Più indietro i due alfieri del centrodestra, «l’un contro l’altro armati»: il derby è stato “vinto” dal fittiano Francesco Schittulli (17,6%), mentre la candidata ufficiale di Berlusconi, l’ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone, è arrivata quarta con appena il 14,6% dei voti.

La “diga rossa” tiene ma scricchiola. Nessuna sorpresa neanche nelle tradizionali “regioni rosse” dell’Italia centrale, ma qui sono le percentuali che dovrebbero preoccupare il premier-segretario. Rossi, Marini e Ceriscioli vincono in Toscana, Umbria e Marche, ma nemmeno loro riescono ad imporsi con la maggioranza assoluta, e non sempre si può dare la colpa alle liste di disturbo della sinistra radicale.

In Umbria – unica Regione dove il centrodestra si presentava unito da Alfano alla Lega – il Pd ha addirittura rischiato il bis della clamorosa sconfitta al comune di Perugia dello scorso anno. Probabilmente solo la mancanza di un ballottaggio obbligatorio ha salvato la poltrona alla presidente Catiuscia Marini, riconfermata con appena il 42,8% dei voti contro il 39,3% del suo sfidante Claudio Ricci. Terzo il grillino Andrea Liberati, con il 14,3%.

Ha fatto sicuramente meglio in Toscana il “governatore” uscente Enrico Rossi, riconfermato con il 48%. Sfidanti in ordine sparso: secondo con il 20% Claudio Borghi (Lega e Fratelli d’Italia), terzo con il 15,1% il grillino Giacomo Giannarelli, quarto il forzista Stefano Mugnai con il 9,1% e quinto il candidato della sinistra radicale Tommaso Fattori con il 6,3%.

L’unica Regione dell’Italia centrale a cambiare presidente – ma non maggioranza – sono le Marche, dove il cattolico Gian Mario Spacca (che aveva lasciato il Pd per ricandidarsi con Forza Italia e una sua lista civica) termina malissimo la sua parabola politica arrivando addirittura quarto con uno striminzito 14,2%. Il suo successore è Luca Ceriscioli, ex sindaco di Pesaro scelto con le primarie, che si impone con il 41,1%. Secondo si è classificato il grillino Gianni Maggi con il 21,8% e terzo il candidato di Fratelli d’Italia, appoggiato dalla Lega, Francesco Acquaroli (19%).

Comuni, verso i ballottaggi. Per quanto riguarda le elezioni comunali, il primo turno si è chiuso in perfetta parità: due eletti al centrosinistra (Agrigento e Rovigo), due al centrodestra (Andria e Vibo Valentia) e due a liste civiche (Tempio Pausania e Sanluri). Bisognerà invece attendere i ballottaggi del 14 giugno per altri 11 dei 17 Comuni capoluogo di Regione. Nella sfida più importante, quella di Venezia, si contenderanno la poltrona di primo cittadino il democratico Felice Casson, che ha raccolto il 38%, e il candidato del centrodestra, Luigi Brugnaro (28,6%). Tutto da rifare invece in due cittadine calabresi, commissariate da tempo per «condizionamenti da parte della criminalità organizzata»: a Platì nessuno ha avanzato la propria candidatura a sindaco, mentre a San Luca ha votato solo il 43,1% degli aventi diritto, non abbastanza per rendere valide le elezioni quando a presentarsi è un’unica lista.

Alessandro Testa

Alessandro Testa

Nato a Roma, ha conseguito una laurea quinquennale (110 e lode) in Scienze della Comunicazione alla Sapienza, dove svolge ancora ricerca sulle primarie al dipartimento CORIS. Ha lavorato quattro anni negli uffici stampa della Marina Militare e ha collaborato con un’agenzia di stampa e diverse piccole testate. Ha frequentato il master IGS in giornalismo internazionale e una summer school in comunicazione a New York. Attualmente scrive recensioni teatrali, cura un blog ed è presente su Twitter.