Inail: "Il datore di lavororesponsabile del contagiose non applica protocolli"

Impossibile il rischio zero in azienda peserà l'eventuale condotta colposa

L’Inail ha chiarito alcuni punti legati alla responsabilità del datore di lavoro nell’infortunio di un dipendente da contagio da coronavirus, dopo la levata di scudi e i timori di numerosi esercenti e dei sindacati. 

Già la scorsa settimana, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro aveva reso note delle pubblicazioni realizzate in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità e approvate dal Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid-19. I documenti fornivano alcune raccomandazioni sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del virus, con l’obiettivo di tutelare la salute dei lavoratori e dell’utenza.

Nella circolare pubblicata adesso si evidenzia che “il rispetto delle misure di contenimento, se sufficiente a escludere la responsabilità civile del datore di lavoro non è certo sufficiente per invocare la mancata tutela infortunistica nei casi di contagio da Covid-19, non essendo possibile pretendere negli ambienti di lavoro il rischio zero. Circostanza questa che ancora una volta porta a sottolineare l’indipendenza logico-giuridica del piano assicurativo da quello giudiziario”.

“Il riconoscimento dell’origine professionale del contagio – scrive l’Inail – si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità ed è totalmente avulso da ogni valutazione in ordine alla imputabilità di eventuali comportamenti omissivi in capo al datore di lavoro che possano essere stati causa del contagio. Non possono, perciò, confondersi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail (basti pensare a un infortunio in “occasione di lavoro” che è indennizzato anche se avvenuto per caso fortuito o per colpa esclusiva del lavoratore), con i presupposti per la responsabilità penale e civile che devono essere rigorosamente accertati con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative”.

Per stabilire la colpa, insomma, occorre oltre alla prova del nesso di causalità, “anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. Il riconoscimento cioè del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero”.

Chiara Capuani

Nasce in un paesino a cavallo tra le Marche e l’Abruzzo il 6 giugno 1991. Dopo la maturità scientifica si dedica agli studi classici e si laurea presso l’Università degli studi di Urbino in lettere classiche. Ha viaggiato molto e ha vissuto per studio e lavoro in Francia, Germania e Corea del Sud. Esterofila e loquace adora scrivere e sogna di farlo per professione.