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‘Oltre la quarantena’, ultima tappa a Londra con la storia di Mariaelena

di Diana Sarti26 Marzo 2020
26 Marzo 2020

Ultima tappa di ‘Oltre la quarantena’ un racconto in tre parti. Un filo rosso che lega Israele, Svizzera e Regno Unito. È la storia di tre italiane che vivono all’estero e hanno deciso di raccontarsi a Lumsanews, per spiegare come sia cambiata la loro vita quotidiana al tempo del Covid-19. Il viaggio approda a Londra.

 

Mariaelena Agostini il giorno della laurea in giornalismo internazionale presso la City University a Londra nel gennaio 2020. Foto dal suo archivio privato

Gli applausi a medici, infermieri e operatori sanitari. Le misure di contenimento contro il virus, le stesse che erano state prese in Italia appena due settimane prima. Il distanziamento sociale e le uscite solo in caso di necessità. “Sembrava un déjà-vu. Uno scenario già visto che si ripete”. A parlare è Mariaelena Agostini, giornalista di 26 anni. Romagnola originaria di Lugo, in provincia di Ravenna, vive a Londra da due anni, anche se la sua avventura nel Regno Unito è iniziata molto prima – nel 2015 – per motivi di studio.

Mariaelena parla di déjà-vu perché aveva già deciso di adottare dei comportamenti più prudenti, senza stare ad aspettare le indicazioni del premier Boris Johnson che, a suo parere, si è mosso in maniera tardiva nella lotta al virus. Lei invece ha scelto di seguire le tempistiche della via italiana quindi si è ritrovata preparata in anticipo rispetto all’esplosione dei contagi da Covid-19 nel Regno Unito: ha iniziato a prendere i mezzi del traporto pubblico con meno frequenza, via via che questi diventavano sempre più affollati a causa della riduzione delle corse. Ha cercato di evitare di trovarsi in luoghi molto affollati, come i centri commerciali, e ha progressivamente abbandonato piscina e palestra preferendo l’attività fisica dell’aria aperta di Hyde Park, che è rimasto aperto e dove si può ancora passeggiare. All’inizio, tuttavia, queste precauzioni hanno suscitato ilarità nelle persone che le stavano intorno. “I miei coinquilini mi prendevano in giro perché indossavo la mascherina e i guanti, mi sono sentita un po’ sola. Anche per strada – racconta la reporter – mi guardavano in modo strano e ridevano”. Invece ora che il governo britannico ha messo il Paese in lockdown per tre settimane, c’è stata un’inversione di tendenza nei sentimenti delle persone: “Adesso che le mascherine non si trovano più, sembra quasi che chi non le ha lanci sguardi di invidia verso chi le indossa” dice Mariaelena.

Poi nella vita di tutti i giorni ha iniziato a fare i conti con l’inedito panic buying, uno degli effetti più marcati del Coronavirus: nemmeno una grande metropoli come Londra è stata risparmiata dall’accaparramento di generi alimentari, verificatosi in misura molto maggiore rispetto all’Italia. “C’è stata una corsa ai supermercati per fare la spesa: file chilometriche per entrare, scaffali rimasti vuoti per due settimane. Non trovavo più la pasta, la carta igienica è diventata un bene di lusso; pollo, uova e farina, anche quella per celiaci, spariti. I miei colleghi mi hanno detto che secondo loro gli italiani sono stati più civili rispetto ai britannici” racconta la giornalista.

È principalmente il lavoro come reporter freelance e multimedia producer per una società broadcast ad averla spinta a restare in città, malgrado lo scetticismo che nutre nei confronti dell’NHS (il sistema sanitario nazionale britannico, ndr) che, secondo lei, a Londra avrebbe già iniziato a scegliere chi curare: gli ospedali sarebbero già allo stremo. “Per le persone con sintomi lievi invece l’indicazione data è quella di stare in isolamento domiciliare e autocurarsi esclusivamente con il paracetamolo” spiega Mariaelena.

Per alcune abitudini che sono cambiate, vedi ad esempio i genitori dei bambini delle elementari che si sono ritrovati a dover fare homeschooling ai loro figli, ce ne sono invece altre rimaste uguali: “Lavorare da casa è diverso rispetto a lavorare in ufficio. Ma io cerco di mantenere una routine – racconta la ventiseienne – Cerco di svegliarmi alla stessa ora di prima, mi vesto, mi metto davanti al pc; tento poi di fare una pausa all’ora di pranzo, come avrei fatto se fossi stata in ufficio. Mi sposto in cucina quando mangio e poi torno nell’altra stanza per lavorare”.

Il Coronavirus tuttavia ha avuto un netto impatto sul mondo dell’informazione. “L’Evening Standard – il giornale gratuito su cui lei scrive da collaboratrice autonoma – ha cambiato distribuzione per evitare la crisi: prima si trovava nelle stazioni della metropolitana, adesso invece è sotto ai portoni delle case. Anche l’altro quotidiano di Londra, il City A.M. ha smesso di stampare il cartaceo ed è passato al web. Un mio collega che lavora qui ha dovuto fare i conti con il dimezzamento dello stipendio perché la pubblicità è diminuita” racconta la giornalista. Basti pensare anche solo alla modalità in cui si svolgono le interviste, adesso quelle in videoconferenza hanno sostituito quelle faccia a faccia. “È un momento storico di grandi cambiamenti e anche il giornalismo si dovrà adattare” conclude.

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