La forca viene imbracciata con forza e, con movimenti rapidi e decisi, le punte non affondano nel terreno agricolo ma nella carne delle mucche da latte. Siamo in un allevamento in Emilia Romagna destinato alla produzione di formaggio Dop, simbolo dell’eccellenza Made in Italy. Il video diffuso dall’associazione “Essere Animali” denuncia l’industria di violenza che talvolta si nasconde dietro i recinti degli stabilimenti zootecnici. Un modello che alimenta il dibattito sulla cultura specista e solleva interrogativi sulla sua sostenibilità anche sotto il profilo ambientale e sanitario.
Il video-choc in un allevamento emiliano
Di quelle violenze, spesso gli unici spettatori sono gli operatori degli allevamenti. Ma è nello stabilimento emiliano che nel 2019 uno di loro accende la telecamera dello smartphone e condivide le riprese con gli attivisti di “Essere Animali”. La diffusione del video solleva il velo sulle violenze da parte degli operatori, sulle condizioni di vita critiche, sui metodi di trasporto e gli abbattimenti irregolari, sul ruolo del veterinario.
Nel 2020 l’associazione presenta una denuncia contro l’allevamento per maltrattamento di animali e commercio di sostanze alimentari nocive. La Procura di Modena chiede più volte l’archiviazione per carenza di prove, ma l’associazione si oppone portando il caso a nuova udienza il 1°luglio 2025. “I Nas non hanno rilevato nulla di penalmente rilevante, cosa scontata perché le violenze che abbiamo mostrato non possono essere reiterate dagli operatori soprattutto di fronte agli ispettori. Ma secondo noi e i nostri legali, i reati possono essere perseguiti sulla base dei video stessi”, spiega a Lumsanews Simone Montuschi, presidente di “Essere Animali”.
Un fenomeno diffuso
Quello dello stabilimento emiliano non sembra rappresentare un caso isolato: in Italia due lavoratori di un allevamento Amadori sono stati condannati per maltrattamento, uccisione e abbandono di animali. Mentre in Germania la LFD Holding, il più grande produttore di suini tedesco, è stata accusata di crudeltà sugli animali in seguito alla diffusione di filmati sulle brutali uccisioni di maiali.
Un quadro normativo frammentario
Secondo un rapporto pubblicato nel febbraio 2025 dall’ “Eurogroup for Animals”, attualmente oltre 430 normative regolano la protezione degli animali in tutta Europa, ma il modo in cui vengono applicate nei singoli Stati membri varia notevolmente. Infatti nonostante la Direttiva 98/58/CE definisca standard minimi di benessere animale, consente ancora pratiche dolorose, se ritenute di impatto minimo o autorizzate dalle disposizioni nazionali. Inoltre, come spiega l’avvocato Alessandro Ricciuti, esperto nel diritto della protezione degli animali, “le direttive europee dovrebbero essere norme di protezione, ma di fatto poi diventano dei limiti della condotta, consentendo pratiche in contrasto con il Codice penale in materia di tutela animale”. Mentre una serie di regolamenti europei impone principi comuni in termini di trasporto degli animali, abbattimento, macellazione e ispezioni, il ruolo di monitoraggio è affidato ai singoli Stati, che devono elaborare un “Piano nazionale per il benessere animale (Pnba)”.
I numeri delle irregolarità in Italia
L’ultimo rapporto Pnba pubblicato nel 2023 dal ministero della Salute segnala che le irregolarità più comuni riguardano le strutture di stabulazione e la formazione del personale. A seconda della specie emergono inoltre anomalie legate a mutilazioni, alimentazione, densità animale, procedure di allevamento e spazio disponibile. A registrare maggiori criticità sono gli allevamenti dei suini, con il 13% dei siti ispezionati, risultati irregolari. Mentre gli allevamenti di bovini risultano i meno conformi, ma anche i più controllati in termini di trasporto animale.
Il confinamento: vantaggi e svantaggi
Agli occhi dell’opinione pubblica, la logica industriale degli allevamenti intensivi sembra spingere gli allevatori a trascurare la natura e il comfort degli animali per rincorrere il massimo profitto con un minimo impiego di risorse. Tuttavia, secondo un rapporto della Fao del 2005, non ci sono prove sufficienti per stabilire che gli allevamenti intensivi siano più dannosi di quelli più piccoli, che potrebbero non disporre di risorse e competenze adeguate. Anche il confinamento non è automaticamente sinonimo di maltrattamento: se da una parte aumenta il rischio di stress e diffusione di malattie, dall’altra garantisce anche protezione da agenti esterni, freddo e predatori. È in più la gestione generale degli impianti che influisce direttamente sul benessere degli animali. Lo chiarisce il direttore tecnico dell’Aia (Associazione italiana allevamenti) Andrea Bassini: “Per noi non esiste l’allevamento intensivo, ma solo l’allevamento controllato che con i monitoraggi e tutte le tecnologie di gestione permette all’animale di vivere nel suo status di benessere, garantendo qualità e produttività”.
I rischi su sicurezza alimentare e ambiente
Come sottolinea anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), condizioni di stress nell’animale e pratiche di macellazione inadeguate aumentano il rischio di malattie e contaminazione della carne, compromettendo quindi la sicurezza alimentare. Ma alcune forme di ripercussione hanno coinvolto anche l’ambiente. Il rapporto della Fao sottolinea che la lavorazione di proteine animali costituisce circa il 12% delle emissioni di origine umana. Tra le cause: il rilascio di gas metano nel processo di digestione, ai cambiamenti del suolo per la creazione di pascoli, alle coltivazioni e al trasporto dei mangimi.
Lo specismo nel dibattito etico
Al di là degli impatti su salute umana e ambiente, il dibattito sull’allevamento intensivo riguarda anche questioni etiche legate alla presunzione di superiorità degli esseri umani rispetto alle altre specie. Ce lo spiega il professor Massimo Filippi, professore di Neurologia all’università San Raffaele di Milano, che si occupa di filosofia e etica animale. “Lo specismo non è un pregiudizio, ma un’ideologia giustificazionista, che legittima lo sfruttamento animale dopo aver appurato che da esso si può trarre profitto, permettendo di perpetuarlo. In quest’ottica l’allevamento intensivo è la punta più acuminata dello specismo”.
Soluzioni trasversali
Nonostante la promozione di stili di vita vegani o di pratiche di allevamento non intensive, la Fao ha rilevato che il consumo globale di carne resta elevato, sottolineando l’importanza di soluzioni che oltre al benessere animale, prendano in considerazione anche necessità di mercato e tutela degli allevatori. In Italia il dibattito politico ha portato nel 2024 a una proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, presentata da associazioni e gruppi trasversali di parlamentari. Il testo, fermo in commissione Agricoltura, prevede una moratoria sull’espansione degli allevamenti industriali, puntando a un percorso di riconversione ecologica.
Che il caso emiliano costituisca solo “una macchia su una camicia bianca”, come afferma Bassini, o la punta dell’iceberg di un fenomeno sistemico, è lo spettro di un problema che non può essere ignorato. Etica, ambiente, salute e profitto: dal benessere animale dipendono molti aspetti fondamentali della nostra esistenza, capaci al tempo stesso di far convergere sulla stessa direzione anche posizioni ideologiche contrapposte.