ROMA – “La tutela della salute è a carico dello Stato. Ogni diritto non esercitato correttamente crea gravi differenze”. Parla a Lumsanews Mariapia Garavaglia, membro del Comitato nazionale per la Bioetica e ministra della Sanità sotto il governo Ciampi. Il recente caso delle gemelle Kessler ha riacceso i riflettori sul suicidio assistito in Italia e, secondo Garavaglia, ora si rischiano casi di emulazione.
Perché per le gemelle Kessler è stato possibile ricorrere al suicidio assistito mentre in Italia è più difficile accedervi?
“In Germania è stata fatta una legge seguendo le indicazioni della Corte di giustizia federale tedesca ed evidentemente sono più facili da interpretare rispetto alle nostre. In Italia manca una norma, nonostante la Corte Costituzionale abbia suggerito al Parlamento quattro condizioni specifiche. Queste devono essere presenti contemporaneamente in chi fa richiesta di suicidio assistito: una patologia irreversibile, sofferenze intollerabili, una condizione di sostegno vitale, la capacità di intendere e di volere”.
Allora perché non è ancora stata fatta una legge?
“Il Parlamento è fermo, anche se non si sa il motivo. Forse si ritiene necessario approfondire il tema, magari ci sono dei ripensamenti, o semplicemente si tratta di motivi politici. Ci sono alcune regioni italiane che hanno già legiferato, ma io personalmente contesto questa scelta. Ritengo che la tutela della salute e della sicurezza della vita dei cittadini è un diritto costituzionalmente protetto. Soprattutto, è a carico dello Stato che ha il dovere di fare in modo che i diritti vengono esercitati correttamente. Ogni diritto non esercitato correttamente crea gravi differenze”.
A fronte di questa lentezza da parte dello Stato, non crede che le Regioni non abbiano avuto altra scelta?
“Io contesto le Regioni come contesterei lo Stato, perché quello che mi sembra stia accadendo è che la responsabilità viene fatta cadere sulle spalle dei cittadini. Le regioni possono far valere il diritto alla tutela della salute, mettendo in campo strumenti per lenire il dolore come le medicine palliative e gli hospice – strutture di ricovero per l’assistenza sanitaria -. Invece di incrementare questi servizi, mi sembra che le regioni stiano scegliendo una scorciatoia, lasciando soli i cittadini”.
Quindi secondo lei non c’è una vera libertà di scelta per chi cerca il suicidio assistito?
“Per ora no, perché non diamo alternative. Non è garantita una cura che allievi le sofferenze fino alla fine, che possa accompagnare una persona senza dolore. Ci sono due manchevolezze: l’inerzia del Parlamento che non fa la legge e la negligenza delle Regioni a predisporre centri per garantire la medicina palliativa”.
Il dibattito sociale e politico intorno a questo tema favorisce la ricerca di una soluzione o è soltanto una barriera ideologica?
“Il fatto che si stia rimandando a lungo questa cosa vuol dire che non ci sono toni come quelli ai tempi del caso di Eluana Englaro. Ci sono stati anni di contrasti anche molto violenti sulle battaglie politiche che riguardavano l’etica o scelte di vita personale. È un dibattito annoso, e non se ne sta ancora venendo a capo. Credo sia necessario giungere presto a una decisione, perché non si può lasciare in sospeso una norma dopo che la Corte ha dato indicazioni chiare. Mi preoccupa anche che ciò che è accaduto alle gemelle Kessler abbia avuto una tale risonanza nei social da portare a casi di emulazione”.


