Chirurgo specializzato in endometriosi toracica al John Radcliffe Hospital di Oxford ma anche divulgatore sui social network, Francesco di Chiara racconta a Lumsanews l’importanza di far conoscere il più possibile l’endometriosi, anche su nuovi mezzi di comunicazione.
Come è nata l’idea di fare divulgazione sull’endometriosi sui social network?
“L’ispirazione è venuta da mia moglie che un giorno mi ha fatto notare come io faccia un lavoro che pochissimi conoscono e che invece forse andrebbe condiviso maggiormente. Non ho mai creduto molto nel valore dei social, poi ho studiato quali sono i contenuti medici maggiormente discussi su queste piattaforme e, soprattutto, chi porta questi temi e ho scoperto che tre quarti dei contenuti sono fatti da pazienti e solo la restante parte da medici. Molte persone quindi si imbattono in informazioni di basso contenuto medico e basate su dati esperienziali. Questo mi ha spinto a voler parlare di endometriosi sui sociai perché ho pensato di poter indirizzare le persone e poterle aiutare”.
Quale feedback riceve da chi la segue?
“Il feedback è molto positivo. Il ritardo diagnostico per endometriosi va dai 7 ai 15 anni, quindi in molti casi avere informazione attraverso i social permette di rivolgersi direttamente agli specialisti. Inoltre, attraverso i video, i pazienti hanno la possibilità di conoscerti prima di fare la visita e questo rende le consulenze molto più proficue. I pazienti hanno già una conoscenza generale del tema così la consulenza si proietta subito al problema e alla loro tematica specifica”.
Lei si occupa principalmente di endometriosi toracica, ancor meno conosciuta dell’endometriosi pelvica. Perché non se ne parla ancora?
“Le racconto un aneddoto legato al mio esame finale di chirurgia toracica. Dovevamo studiare un tomo gigante e per ogni argomento c’erano pagine e pagine, eccetto per la pneumotorace catameniale, per cui c’era soltanto un trafiletto. Questo dimostra come non c’era nessun interesse né alcun riferimento bibliografico su questa patologia. Questo aspetto mi ha spinto a occuparmene ma intorno ho trovato molta resistenza. La mancanza di interesse in senso più ampio per la patologia nasce dal fatto che gran parte dei medici non riesce a recepire e integrare l’esperienza del paziente nel dubbio diagnostico. I medici sono abituati a incasellare negli schemi che gli sono stati insegnati quello che viene descritto dal paziente. Se qualcosa esula da questi schermi, si tende a pensare che il problema non esista”.
Quali passi in avanti si possono fare nella divulgazione di questa patologia?
“Nel mio piccolo, quando sono diventato direttore del programma dell’esame europeo di chirurgia toracica ho introdotto l’endometriosi toracica, cosicchè chi deve sostenere l’esame deve sapere almeno di che cosa si parla. Lo sforzo deve partire dai medici perché il limite non è del paziente. Serve aumentare di base la conoscenza di base di tutta la comunità scientifica”.
Qual è il messaggio più importante che vuole lanciare con il suo lavoro sui social network?
“Il modo di informarsi oggi è cambiato, nessuno va più a leggere il nostro sito web ma va sui social. Credo che il messaggio più importante sia rivolto ai medici: devono scendere dal piedistallo e iniziare a fare i conti con il fatto che la maggior parte delle persone tra i 17 e i 22 anni usa TikTok come prima piattaforma per informarsi sulla salute. E se noi medici vogliamo aiutarli a non finire vittime di ciarlatani che gli fanno spendere un sacco di soldi, dobbiamo renderci conto che il mondo è cambiato e metterci in gioco”.


