Adolescenza fragile, un antidoto al peso della vita

Alessandro aveva 13 anni. Il 1° settembre si è lanciato dalla finestra della sua abitazione, al quarto piano di una palazzina di Gragnano, in provincia di Napoli. Insostenibile per lui il peso degli insulti e delle minacce da parte dei bulli. Gli inquirenti stanno indagando sui rapporti tra Alessandro e altri sei ragazzi, di cui quattro minorenni. L’ipotesi di reato è istigazione al suicidio.
Alessandro ha preferito sparire, sottrarsi alle angherie e scegliere di morire, cadendo nel vuoto. Un vuoto che probabilmente aveva dentro e che nessuno aveva intuito. Un vuoto interiore che molto spesso, per i ragazzi, coincide con uno esteriore, quando non c’è nulla e nessuno a cui aggrapparsi per chiedere aiuto. E l’unica soluzione sembra la morte. Ma Alessandro, purtroppo, non è l’unica vittima di questa emergenza silenziosa e spesso dimenticata.

L’allarme tra gli adolescenti

La vicenda di Gragnano è solo l’ultima storia in ordine temporale di un’epidemia di casi che negli ultimi anni è dilagata prepotentemente. I dati dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma sono allarmanti. Negli ultimi 10 anni gli accessi al pronto soccorso per comportamenti suicidari da parte di giovanissimi sono cresciuti esponenzialmente. I numeri sono però esplosi nei due anni di pandemia, arrivando a un +75 per cento rispetto al biennio precedente nel caso del suicidio, ideato o tentato, e a un +60 per cento di atti di autolesionismo. “Gli accessi in pronto soccorso per comportamenti suicidari sono passati dai 369 dell’anno 2018/2019 ai 649 del 2020/2021. In media un caso ogni giorno”, chiarisce a Lumsanews il dottor Gino Maglio, della neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dell’ospedale. “Negli ultimi anni – continua – fattori di rischio come l’esclusione dalla vita sociale, i timori legati al contagio, la minore interazione a scuola e nello sport hanno inciso particolarmente”. Negli ultimi due anni, infatti, i casi di ideazione suicidaria sono stati 477 (+88 per cento rispetto al 2018/19), i tentativi di suicidio 172 (+50 per cento) e i comportamenti autolesivi 103 (+8 per cento). Ma non solo. Gli aumenti hanno riguardato anche il fronte dei ricoveri in Neuropsichiatria, che sono passati dai 338 del 2019 ai 492 del 2021 con un aumento del 45 per cento, e quello delle consulenze neuropsichiatriche, che è aumentato di 11 volte, passando da 155 casi a 1.824. Protagonisti sono giovani ragazzi d’età compresa tra i 13 e 16 anni (il più giovane nove) e oltre l’80 per cento dei tentativi di suicido è messo in atto da bambine e ragazze.
“Più frequentemente si tratta di ragazzi che hanno una fragilità o una sofferenza psichica, perlopiù ragazze in età adolescenziale – spiega Michela Gatta, Direttrice dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Ospedale-Università di Padova -. L’età media ruota intorno ai 15/16 anni ma nell’ultimo anno e mezzo, sulla base della mia esperienza, posso dire di aver visto ridursi l’età dei ragazzi che arrivano in ospedale: ci sono anche ragazzini di 13/14 anni”. Alla base di questa crescita sembra esserci una generale tendenza all’aumento dei disturbi dell’umore in età evolutiva. Lo dimostrano numerosi studi in campo neuropsichiatrico, citati anche da Maglio, che racconta: “Le manifestazioni sembrano essere macroscopiche ma in realtà ogni paziente ha una storia a sé, una storia complessa fatta di disagio e sofferenza. Solitamente questi disturbi si manifestano con umore cupo, tristezza, pessimismo e perdita di interesse nei confronti delle cose della vita, associati a una forte irritabilità e agitazione”.

Le richieste d’aiuto

Molti di questi ragazzi però, fortunatamente non si lasciano andare. Ai numeri enormi dei tentati suicidi, infatti, spesso corrispondono altrettante richieste d’aiuto. Il Telefono Amico Italia non ne ha mai ricevute così tante. Nei primi sei mesi del 2022 le telefonate sono state più di 2.700, il 28 per cento da parte di giovani fino a 25 anni. Ma il record più importante si è registrato nel 2021. Sono state quasi 6.000 le richieste d’aiuto arrivate da persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per il possibile suicidio di un proprio caro. Le richieste d’aiuto sono cresciute del 55 per cento rispetto al 2020 e sono quasi quadruplicate rispetto al 2019, prima della pandemia. E a preoccupare particolarmente è il dato relativo ai giovani: il 28 per cento delle richieste è stato di under 26. Numeri drammatici da una parte ma che infondono una certa speranza dall’altra. Ci spiega perché la vice presidente di Telefono Amico Italia Cristina Rigon: “Prima della pandemia i ragazzi non telefonavano mai; ora invece hanno iniziato a prendere più confidenza. È come se si sentissero, dopo la pandemia, autorizzati a star male, a dichiarare il proprio malessere e a chiedere aiuto”. Con la pandemia, infatti, la preoccupazione per la salute mentale dei ragazzi è aumentata. Secondo l’Istat, nel 2021 in Italia sono stati 220mila i ragazzi tra i 14 e i 19 anni insoddisfatti della propria vita e, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. Se, infatti, i giovanissimi sono stati i meno toccati dagli effetti fisici della pandemia, sono stati però profondamente colpiti dai lockdown e dalle privazioni alla vita quotidiana e sociale che questi hanno comportato.

Il ruolo della prevenzione

In questo contesto particolarmente precario, fornire un aiuto ancor prima della presentazione del problema è fondamentale. Per questo, ciò su cui psichiatri e neuropsichiatri sono concordi è la prevenzione e la cooperazione tra i vari settori della società per mitigare i rischi. Fornire una sorta di ABC per riconoscere il soggetto in crisi e intervenire in suo aiuto. “È fondamentale fare un lavoro di ascolto e di rete – spiega la neuropsichiatra Gatta -, comprendere ciò che i ragazzi stanno vivendo e aiutarli attraverso la famiglia, le istituzioni e le figure professionali. Penso che questo insieme di azioni su più livelli, portato avanti nel tempo, sia più efficace rispetto al singolo intervento che si focalizza su un fatto specifico”. “È importante per il soggetto dialogare, aprirsi ed esprimere le proprie difficoltà e trovare qualcuno con cui farlo. Per farlo bisogna sensibilizzare la popolazione, per farle prendere coscienza di questa realtà; una realtà che esiste e di cui non bisogna aver paura di parlarne”, le fa eco Cristina Rigon.

Su questo aspetto si è espressa l’Organizzazione mondiale della sanità in un suo rapporto, chiedendo una maggiore attenzione anche da parte dei mass media. Ma non solo. Di fondamentale importanza è anche il ruolo delle istituzioni, che devono “sensibilizzare e favorire la conoscenza sul tema specifico e in generale sulla salute mentale, in modo che possa ridursi lo stigma attorno alla sofferenza psichica e alle patologie neuropsichiatriche e si possa favorire l’accesso ai servizi e alle cure”, ricorda Rigon.

È un quadro complesso dunque quello che ruota attorno ai giovani ragazzi. Per alcuni il buio diventa talmente insostenibile che l’unica via d’uscita sembra essere sparire. Dar voce a ciò che tormenta e affidarsi a chi può aiutare forse è il primo passo per uscirne, nella speranza che non sia troppo tardi.