Automobili e petrolio: un divorzio ancora lontano

Il futuro è in mano alle quattro ruote. Secondo l’Isfort, l’Istituto di Formazione e Ricerca per i Trasporti, solo in Italia si fanno ogni giorno 100 milioni di spostamenti con i mezzi di trasporto: 70 di questi sono percorsi con l’automobile. Grandi numeri comportano importanti responsabilità: nei prossimi anni l’industria dell’automotive dovrà garantire una mobilità ecosostenibile. L’Unione Europea ha pronto un piano d’azione: ridurre del 30% le emissioni di Co2 entro il 2030. Un obiettivo ambizioso, ma la transizione sarà così immediata?

Il “petropolio”. In questa fase giocano ancora un ruolo importante il petrolio e i suoi derivati. Il 94% del fabbisogno energetico del settore dei trasporti in Europa è ancora soddisfatto dal petrolio. Il combustibile offre, infatti, caratteristiche di alta densità energetica e convenienza ancora difficili da sostituire.

«Nei prossimi vent’anni lo scenario non cambierà granché. È il frutto della diffusione su scala mondiale di prodotti di massa: milioni e milioni di veicoli, che dipendono dai derivati petroliferi. Nel futuro ci sarà sempre il petrolio, solo che sarà prodotto in modo più efficiente», dichiara Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che si mostra scettico su una decarbonizzazione del sistema dei trasporti da qui al 2050.

In Italia, ad esempio, il parco veicoli con standard emissivi inquinanti, vicini all’euro 4, rappresentano ancora il 70%. Un rinnovamento nel giro di qualche anno di veicoli euro 5 o euro 6 avrebbe dei grossi costi, sostenibili solo con una politica di incentivi.

La Francia sembra già muoversi su questa strada. Il ministro della Transizione ecologica Nicolas Hulot ha assicurato che, nel corso dell’attuale legislatura, entro tre, quattro anni, il diesel perderà ogni vantaggio fiscale. Il ministro francese ha un obiettivo molto ambizioso: “bandire” dal Paese auto diesel e a benzina entro il 2040. Un piano che, oltre all’ottimismo, raccoglie molto scetticismo.

I produttori. Secondo l’analisi della Exxon Mobil, il continuo processo di urbanizzazione e la considerevole espansione del ceto medio, destinato a raddoppiarsi nei prossimi quindici anni, porterà a un aumento significativo della richiesta di trasporto privato e commerciale. In questo scenario la domanda di petrolio crescerà per sostenere il fabbisogno del settore.

«È giusto ridurre la carbonizzazione, ma è necessario adattarsi alla domanda dei consumi e della richiesta sociale. L’evoluzione crescerà insieme alla nostra capacità di rendere disponibili prodotti coerenti con il mercato», dichiara Francesco Marini, presidente della Sarlux, società del gruppo Saras, una delle raffinerie petrolchimiche più importanti a livello europeo.

La chiave è rimanere flessibili. «Siamo una delle raffinerie a più alta conversione, trasformiamo la materia prima in un prodotto che abbia le caratteristiche migliori per il mercato petrolifero. E oggi significa raffinare dei prodotti a impatto ambientale sempre più basso».

L’impegno della Saras passa anche attraverso il risparmio energetico della raffineria. «Abbiamo fermato una caldaia di prima generazione e consideriamo di chiuderne altre due. Siamo passati a un’alimentazione elettrica per utilizzare l’energia in maniera più efficiente».

Auto ibride, il giusto compromesso? Una risposta che garantirebbe basse emissioni e buone prestazioni, sembra essere data dalla produzione di auto ibride. Veicoli che sfruttano la sinergia di due motori: uno elettrico e uno a benzina.

Al momento il mercato manda segnali positivi. In Italia dal 2016 al 2017 le vendite sono quasi raddoppiate. L’unico limite rimangono i costi elevati di produzione, che si riflettono poi nel listino dei prezzi.

Bene anche le elettriche, ma i limiti sono strutturali. Bain & Company, società di consulenza strategica statunitense, prevede nei prossimi decenni una crescita mondiale del settore: le auto elettriche rappresenteranno il 50% delle nuove vendite. Ma per raggiungere tali risultati si devono centrare due obiettivi: un’autonomia sufficiente delle batterie e una rete capillare per la ricarica.

«C’è un forte interesse sull’elettrico in termini di investimenti pubblici e privati» – precisa il direttore per la ricerca Isfort Carlo Carminucci – in questa fase potrebbe essere più conveniente incentivare il parco veicoli inquinanti, che investire su questa tecnologia. Tuttavia l’elettrico cambia completamente la prospettiva dei costi di lungo periodo».

Oltre alle emissioni si potrebbero abbattere i costi di gestione e manutenzione dell’auto. L’inquinamento di secondo livello, dovuto all’usura dell’auto, verrebbe drasticamente ridotto.

Il futuro è bio? Negli ultimi anni lo sviluppo dei biocarburanti ha raggiunto ottimi risultati. Secondo un’analisi dell’International Energy Agency nei prossimi anni i costi del petrolio e dei suoi derivati aumenteranno sensibilmente, di fronte a un drastico calo del 30% dei prezzi dei biocarburanti. «Questo si tradurrà in un automatico aumento delle richieste di bioliquidi», dichiara David Cannella, docente di biochimica all’ Universite’ Libre de Bruxelles.

La produzione di biocarburanti di seconda generazione, quelli derivanti da scarti agricoli, ha comunque dei limiti. Una bioraffineria dev’essere costruita vicino a enormi aree agricole. Per Cannella può essere un virtuosismo in termini di economia circolare, in cui lo scarto di una produzione primaria rappresenta il prodotto in un altro settore strategico.

Una lenta rivoluzione. I nuovi servizi, che mirano a ridurre il parco veicoli, come il car sharing, non sembrano dare i risultati sperati. Solo in Italia, dei 70 milioni di spostamenti in auto al giorno, tra i 30 e i 40 mila sono percorsi con il carsharing. Una modalità di trasporto che interessa soltanto le grandi e medie aree urbane. «Gli operatori privati, che gestiscono il servizio non sono interessati ai mercati con meno di duecentomila abitanti. C’è un’abitudine e uno stile degli italiani che non invoglia a investire», dichiara il direttore di Isfort.

Raggiungere il traguardo non sarà facile. È probabile che nei prossimi quindici anni avremo ancora a che fare con la mobilità tradizionale. Per il presidente di Nomisma Energia «non bisogna demonizzare le auto diesel e benzina. Occorre continuare con la ricerca, senza avere posizioni troppo integraliste».