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Cedu, l’Italia può togliere la seconda madre dal certificato nascita

di Leonardo Macciocca09 Ottobre 2025
09 Ottobre 2025

Esterno della Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo / Foto Ansa

STRASBURGO – L’Italia non è obbligata a riconoscere la seconda madre dal certificato di nascita. È la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che ha stabilito che il nostro Paese non ha violato i diritti di un bambino quando le autorità hanno annullato l’iscrizione della seconda madre sul suo certificato di nascita. La Corte ha tuttavia mantenuto l’anonimato per le donne e il figlio, nato in Italia nel 2018.

“Stati non tenuti a riconoscere genitori d’intenzione nei certificati di nascita”

Nella sentenza si evidenzia che gli Stati non sono tenuti a garantire l’inclusione dei genitori d’intenzione nei certificati di nascita a patto che offrano altre soluzioni, come quella dell’adozione, al fine del riconoscimento di un legame tra questi genitori e i bambini. La Corte europea ha constatato che nessuna domanda di adozione sembra essere stata presentata dalla seconda madre. Inoltre, “l’intervento dello Stato non ha interrotto la vita familiare del bambino”, che vive con le due donne, e che nel tempo ha sempre conservato la filiazione con la madre biologica.

La sentenza della Corte Costituzionale dello scorso maggio 

Lo scorso maggio la Corte Costituzionale italiana aveva però dichiarato incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il figlio nato in Italia da PMA (procreazione medicalmente assistita) legittimamente praticata all’estero. La Consulta aveva poi ribadito, in linea con i propri precedenti, che non sussistono ostacoli costituzionali a una eventuale estensione, da parte del legislatore, dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli attualmente indicati e nello specifico alla famiglia monoparentale. Una situazione che per la Consulta danneggiava il diritto dei bambini a vedere riconosciute entrambe le figure genitoriali e che aveva interpretato come una violazione dell’articolo 8 della CEDU, che protegge il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Ma è stata proprio il tribunale dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo, a fare chiarezza sulla questione.

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