Covid-19, l’Italia divisa sull’uso dei tamponi

Distanti e divisi. Il Coronavirus separa le persone e allontana città, regioni e Stati su come prevenire il contagio. Facilmente trasmissibile, il Covid-19 ha portato alcune nazioni a effettuare l’esame del tampone su tutte le persone, mentre altri governi hanno preferito limitare i test solo ai soggetti sintomatici. L’Italia è tra queste, ma non tutte le città si sono uniformate alle indicazioni dell’esecutivo.

Le misure adottate in Italia
Nel paese veneto di Vo’Euganeo, dove si è registrato il primo decesso in Italia per Coronavirus, sono stati condotti test a tappeto. Il 95% dei residenti si è sottoposto al tampone e si è scoperto che “la grande maggioranza delle persone infettate da Covid-19, tra il 50 e il 75%, è completamente asintomatica”, come indicato dal professore ordinario di Immunologia clinica dell’Università di Firenze Sergio Romagnani nello studio condotto sui risultati. Ma, nel paese veneto, gli abitanti sono solo 3000. Numeri esigui se comparati con gli oltre 10 milioni di abitanti della Lombardia, la regione in questo momento più colpita dal virus.

La situazione nell’ospedale di Brescia

Il virologo Fabrizio Pregliasco è scettico sulla scelta di effettuare tamponi a tappeto. “È un lavoro immane, con scarsa utilità in termini di sanità pubblica. Se hai la febbre, in questo periodo è quasi certo che hai il Coronavirus: perciò è bene stare a casa e non contagiare gli altri. Si tratta di una pratica che, in realtà, bisognerebbe adottare anche per le influenze normali. Tutti ci ammaleremo, dipende solo dalla velocità. Il 40% della popolazione italiana è a rischio”,  avverte Pregliasco, in un’intervista rilasciata a LumsaNews.

Diversa l’opinione di Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’università di Padova. “È chiaro che non si possa fare il tampone a tutti gli italiani – commenta a Tgcom24 – però si può fare il tampone alle persone vicine agli asintomatici. Bisogna usare i casi asintomatici come sentinella per allargare il nostro raggio d’azione”.

Direzione che stanno prendendo alcune regioni. In Veneto si passerà da 3.000 a 11.300 tamponi al giorno, come  annunciato dal presidente della Regione, Luca Zaia, al Corriere della Sera il 17 marzo. “Abbiamo solo fatto una scelta  diversa: tamponi a tappeto”, spiega il governatore nell’intervista. Una decisione simile arriva dalle Marche, dove il presidente della Regione, Luca Ceriscioli, ha annunciato a Radio 24 che saranno effettuati “test anche ad asintomatici, partendo da Ascoli Piceno, che è la provincia dove si registrano meno casi”. Anche il Piemonte si allinea, ma con alcuni limiti. Il governatore Alberto Cirio autorizzerà l’esame del tampone per il Coronavirus a tutti gli asintomatici, ma solo se sono operatori sanitari. Mentre le altre regioni, per il momento, seguono le ultime indicazioni del Ministero della Salute. Anche perché ci sono delle incognite sul sistema dei tamponi a tappeto.

Personale medico che effettua un tampone a Vo’ Euganeo, Padova

Il problema dei falsi positivi e falsi negativi
Sottoporre tutta la popolazione ai test non dà sicurezza sui risultati. “Una persona risultata negativa al tampone oggi potrebbe contrarre il virus successivamente”, spiega il virologo Pregliasco. C’è poi il rischio dei falsi positivi e falsi negativi. “Se si esegue lo stesso test su campioni di soggetti che hanno una bassa prevalenza di Coronavirus”, prosegue Pregliasco, “il valore predittivo dei test positivi diventa più basso. E quindi il margine di errore per dei falsi positivi e falsi negativi aumenta”. Aspetto sottolineato anche dalla circolare del ministro della Salute del 16 marzo. “La sensibilità del tampone rinofaringeo per SARS-CoV-2 nei soggetti asintomatici è estremamente bassa e la negatività non è in grado di escludere un’infezione in incubazione”, si legge nel documento.

Il costo dei tamponi
Ci sono poi da considerare le spese per condurre test su tutta la popolazione. “Il costo di un kit è di circa 30 euro. Il  tampone in sé non viene molto: stiamo parlando di una cifra inferiore ad 1 euro. La maggior parte della spesa riguarda le analisi che devono essere effettuate”, spiega a Lumsanews Teresa De Michele, dirigente sanitario della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma.

Un tampone

Chi produce i tamponi in Italia
Leader del settore è l’azienda bresciana Copan. Si tratta di una multinazionale con circa 146 milioni di ricavi annui e la cui produzione è quasi totalmente destinata (90%) al mercato estero. Vende i suoi prodotti ovunque nel mondo. La società, nel giro di pochi giorni, è passata “da 900 mila a 1,2 milioni di pezzi prodotti in una settimana, registrando un incremento di produzione per il mercato cinese del 70%”, ha spiegato Stefania Triva, presidente del gruppo e ceo della divisione italiana, in un’intervista al Corriere della Sera. Ma i tamponi non sembrano essere l’unica soluzione per limitare il contagio.

La ricerca di anticorpi al Coronavirus
Effettuare tamponi sull’intera popolazione “sarebbe un impiego di risorse e di uomini molto oneroso”, dice a Lumsanews Roberto Cauda, virologo del Policlinico Gemelli di Roma. La scienza sta già cercando altri rimedi per tracciare percorso dell’infezione, tra questi c’è la ricerca degli anticorpi al Coronavirus. Una volta scoperti, attraverso un esame specifico ognuno di noi potrebbe conoscere se ha contratto la malattia. Un’eventualità da non scartare, dal momento che il virus potrebbe aver iniziato a circolare già da novembre.

Test condotto nel laboratorio di Thai

Ma Cauda spiega meglio la situazione: “La ricerca degli anticorpi sarà utile al termine dell’epidemia per capire quanto ha circolato il virus. Penso che, una volta terminata la diffusione, si andrà a cercare nel sangue delle persone (ad esempio dei donatori delle varie città italiane) la percentuale di anticorpi al Coronavirus. Così sarà possibile mappare, in base alla positività al Covid-19, la diffusione”. Ma non è importante capirlo ora? “Le curve sono in crescita e la popolazione è per lo più vergine”, prosegue Cauda. “I contagiati sono ancora una piccola parte della popolazione, anche se molto significativa per l’epidemia”. E sulla scelta se fare i tamponi a tutti o solo a sintomatici il virologo è chiaro: “Rimane una decisione politica”.

Come ha agito il resto del mondo
Tamponi a tappeto, isolamenti immediati e imposizione della quarantena ai contatti più stretti dei contagiati. Secondo quanto riportato nel rapporto messo a punto dall’Oms, sono queste le misure adottate dalla Cina per contenere il virus. La Francia ha invece annunciato che non effettuerà test sistematici. Mentre in Spagna, da domenica, verranno testati solamente i sintomatici, oltre al personale sanitario e di altri servizi essenziali con infezioni respiratorie; saranno incluse anche le fasce più vulnerabili che presentano sintomi lievi. Non c’è quindi una direzione comune, ogni Stato ha agito diversamente.

Personale spagnolo disinfetta il porto di Algeciras, nel sud della Spagna

Il “modello” della Corea del Sud
Tra le nazioni che per prime hanno deciso di effettuare tamponi a tappeto c’è la Corea del Sud. Se in Italia il tasso di letalità è circa del 6,6%, in Corea del Sud, uno dei primi paesi colpiti dal Covid, è invece dello 0,9%. Perché? L’indirizzo del governo sudcoreano è stato fin da subito chiaro. Hanno deciso di sottoporre a tampone chiunque avesse avuto contatti con persone positive al Coronavirus, anche se fossero soggetti asintomatici. Sono stati condotti test su oltre 248.000 persone e sono state identificate 8086 persone infette. Di queste, 72 sono morte, pari allo 0,9% dei contagiati. Come sono riusciti a rispondere così prontamente alla situazione di emergenza? “Dalla passata esperienza della Mers (la sindrome respiratoria del Medio Oriente che si diffuse nel 2015) abbiamo imparato che la diagnosi precoce delle persone contagiate è la chiave per combattere questo tipo di epidemie”, spiega a Lumsanews il presidente della Korean Society for Laboratory Medicine Gye Cheol Kwon.

Il Presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in, parla durante il concilio per fronteggiare l’emergenza

È importante però avere fabbriche già pronte a rispondere alla crescente domanda di test. “In Corea abbiamo un settore industriale ad alta tecnologia che ci permette di produrre kit per i tamponi con rapidità. Vengono poi autorizzati immediatamente attraverso il sistema dell’EUA (Emergency Use Authorization, autorizzazione all’uso di emergenza) e diffusi nei laboratori medici qualificati, dove si possono effettuare numerosi tamponi con velocità e accuratezza. Tutti questi fattori permettono di compiere test molto rapidamente: risultati in sei ore al massimo”, spiega Kwon. Ma non sono gli unici.

Persone a Seoul mentre fanno la fila per i tamponi

Per evitare la diffusione del virus negli ospedali, i test vengono consegnati senza scendere dalla macchina (attraverso il cosiddetto “drive-thru”) e per gli asintomatici c’è la possibilità di comprare un tampone per 155 dollari e vedere se si è positivi. In Italia non si può, solo il medico di base può prescrivere il tampone.

Qual è allora il consiglio per l’Italia dalla Corea del Sud? Risponde Kwon: “L’individuazione, l’isolamento e il trattamento dei casi contagiati, così come indicato dalle strutture mediche, sono le misure più importanti da adottare in questo momento per sconfiggere il virus”.