8 giugno 1990, la cerimonia di apertura del Mondiale allo stadio Giuseppe Meazza di Milano

"Paghiamo ancora Italia '90e una burocrazia infinitaGli stadi vanno riconcepiti"

L'economista Vulpis: gap da colmare "La Premier ha respiro internazionale"

Fondatore di SportEconomy, Marcel Vulpis è un giornalista ed economista esperto di sport-business. Apprezzato opinionista, collabora dal 1992 con Italia Oggi e redige una rubrica su Business People su sport e comunicazione. Da gennaio 2021 è vicepresidente vicario di Lega Pro. Ha analizzato le differenze tra il calcio inglese e quello italiano sia sotto l’aspetto economico e dei diritti televisivi, che in riferimento agli impianti sportivi.

L’anno scorso il Norwich, 20esimo in Premier League, ha guadagnato in termini di diritti tv più della Juventus campione d’Italia. La Premier League genera circa 5,6 miliardi di euro, quasi il doppio della serie A. Perché c’è questo divario?

“Già da diversi anni la English Premier League si presenta sul mercato internazionale come il campionato di calcio più attrattivo per network tv e sponsor. Forte di un posizionamento, in ambito domestico e internazionale, assolutamente distintivo. Da qui una strategia di potenziamento del valore dei diversi brand calcistici, grazie ad una Lega costantemente al lavoro per valorizzare il prodotto EPL in tutto il mondo e nelle diverse aree di ricavi. È chiaro che a fronte di un “tesoretto” più ricco anche un club di seconda fascia come il Norwich può incassare più della Juventus campione in carica da nove anni consecutivi. Il problema vero è che una volta terminata la pandemia il calcio inglese è pronto a sferrare una nuova offensiva commerciale per proseguire sulla strada della internazionalizzazione”.

Perché la Coppa Italia viene trasmessa in chiaro, generalmente con poco share, e invece la Fa Cup va in pay per view anche all’estero? È una manifestazione molto più appetibile?

“La Coppa Italia e la Supercoppa sono, da diversi anni, al centro di un progetto di un profondo riposizionamento sul mercato tricolore. Soprattutto la Supercoppa è stato oggetto di interesse sia del mercato cinese che di quello arabo, grazie a un accordo pluriennale. È chiaro che ci vorranno ancora degli anni per raggiungere i traguardi ottenuti da una competizione come la Fa Cup. L’idea all’estero di sfruttare la modalità “pay per view” è sicuramente suggestiva, ma prima il calcio italiano dovrà radicarsi maggiormente sui mercati internazionali, così come quello britannico”.

L’economista Marcel Vulpis

Dopo le misure restrittive contro gli hooligans, in Inghilterra sono stati rimodernati gli impianti sportivi, mentre in Italia ci si è adagiati sugli allori di Italia ’90. In termini economici, quanto è importante avere uno stadio di proprietà? Perché in Inghilterra c’è stato questo progresso e in Italia no? È una questione anche di mentalità o incide solo la burocrazia?

“In occasione di Italia ’90 ci siamo trovati di fronte a impianti non progettati con una visione di medio-lungo periodo. Quest’errore l’abbiamo pagato negli anni successivi e oggi, a 30 anni da quell’evento, siamo costretti purtroppo a “recuperare”. Bisogna attrarre un maggior numero di investimenti ma soprattutto snellire le norme per l’approvazione di nuovi progetti di impiantistica sportiva. Sono troppi gli enti delegati ad apporre il “bollino” per il buon esito. Con questi tempi e queste procedure diventa difficilissimo costruire un impianto nel nostro paese. All’estero esistono regole altrettanto severe, ma non c’è lo stesso livello di burocrazia, che spegne sul nascere ogni entusiasmo. Spesso i presidenti dei club sognano di costruire in tempi brevi un impianto di proprietà, che permette, in media, di far crescere su base annua i ricavi del 35%. Ma è altrettanto essenziale investire, nel breve periodo, sui cosiddetti training center. Ogni campo o struttura realizzate rappresentano un fattore positivo di patrimonializzazione per i bilanci delle società. Nel Regno Unito tutti i club di Premier League dispongono di uno stadio di proprietà. In Italia appena 4 su 20”.

Gli inglesi sono avanti anche nel merchandising. Eventi come il “boxing day” non sono riproducibili in Italia? 

“Dovremmo prendere esempio dai modelli organizzativi, nella costante spinta a diffondere il brand all’estero, nella capacità di presentarsi compatti e con un’unità di intenti, soprattutto a livello commerciale. Alcuni progetti, come il “boxing day”, sono entrati nell’immaginario collettivo dei tifosi britannici e ormai fanno parte della “cultura” del calcio Uk, mentre in Italia dopo essere stato adottato si è subito tornati indietro. Sul fronte del merchandising, la penetrazione commerciale all’estero ha permesso ai top club della Premiership di spingere sull’acceleratore. E nei prossimi anni questa tendenza crescerà ulteriormente”.

Antonio Contu

Nasco a Cagliari il 19/09/1996. Ho conseguito la maturità classica nella mia città e successivamente ho preso un volo di sola andata verso Roma per la laurea triennale. Curioso fin da bambino, le mie prime parole sono state "che cos'è?", sono da sempre appassionato al mondo giornalistico, soprattutto quello moderno. Amo scrivere e parlare di calcio. Da novembre 2020 frequento il Master in Giornalismo della Lumsa.