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Il mondo dell’Urbex oltre i sigilli: l’esplorazione dell’ignoto tra pericolo e adrenalina

di Elisabetta Guglielmi13 Ottobre 2025
13 Ottobre 2025
urbex

Foto di Massimiliano Martino (Instagram @tmaxfirenze)

La luce soffusa che entra dalle crepe di un solaio in parte crollato, l’evocazione di un passato rimasto immobile in una dimensione atemporale, granelli di polvere che si alzano da un mobilio chiuso in una stanza e mai più utilizzato.
È questa sinestesia di colori sbiaditi, suoni spenti e odori dimenticati l’elemento base che compone il variegato mosaico dell’esplorazione urbana di luoghi abbandonati.
Noto con il termine “urbex”, abbreviazione dell’inglese urban exploration, questo fenomeno consiste nell’esplorazione di edifici e rovine poco visibili dell’ambiente urbano.

Le origini del fenomeno e la sua diffusione

Le origini dell’urbex risalgono addirittura al 1793 e vedono in Philibert Aspairt il primo urbexer della storia. La morte dell’esploratore, rimasto sepolto nelle Catacombe di Parigi, assurge a primo esempio di un’esplorazione non ufficiale di ambienti dimenticati della città. Ma è solo duecento anni dopo, nel 1996, che viene coniata l’espressione “urbex”, termine utilizzato dal canadese Jeff Chapman. L’uso di Internet e dei social media ha reso possibile una diffusione globale, portando l’urbex all’attenzione del grande pubblico.

Negli ultimi anni in Italia sono nati sempre più gruppi con l’intento di documentare i posti abbandonati. Tra i primi a portare avanti questa professione c’è Ascosi Lasciti: progetto creato per “condividere esplorazioni e storie di luoghi nascosti in Italia e nel mondo”. Come spiega a Lumsanews Cristiano La Mantia, presidente dell’associazione, l’obiettivo è “prendere coscienza del patrimonio immobiliare sommerso”.

La passione per l’esplorazione in La Mantia è nata all’ombra dell’Etna e cresciuta tra i ciottoli e la cenere del vulcano siciliano. E proprio questa passione l’ha portato a comprendere come ogni luogo che si visiti richieda la giusta preparazione: “Bisogna sempre essere consapevoli di cosa si affronta”, sottolinea La Mantia.

Dalla diffusione alla degenerazione

Gianfranco Barollo, fotografo e urbexer professionista, ricorda una regola che dovrebbe essere vincolante per ogni urban explorer: essere ospiti temporanei. “Gli urbexer – sostiene Barollo – documentano la bellezza del decadimento. Deturpare architetture storiche non è arte, ma mancanza di rispetto che annienta la storia e rompe la magia del luogo”.

Secondo una ricerca del Cescat (Centro studi casa ambiente, territorio di Assoedilizia), in Italia esistono oltre due milioni di case disabitate, ma non tutte sono registrate al catasto. A queste si aggiungono le migliaia di strutture edilizie inutilizzate.
Come evidenzia l’architetto Mosè Ricci, ammonterebbe a 16 milioni di edifici il patrimonio edilizio inutilizzato in Italia. I piani urbanistici continuano a essere improntati su una legge di ottant’anni fa che, come la Leonia delle Città invisibili di Italo Calvino, concepisce un’idea di “città incrementale che incrementa i propri volumi”. Monitorare e tenere sotto controllo questi immobili è impossibile.

Ma come trovare questi luoghi?

Barollo sottolinea che nell’urbex “la ricerca è metà del divertimento e la geografia è la mappa del tesoro”. Ma ricevere le coordinate geografiche dei luoghi abbandonati è un privilegio che spetta solo a pochi eletti. Lo spiega Alessio Ricci, giovane urbexer che nell’esplorazione ricerca il brivido dell’adrenalina. A Lumsanews racconta che “nell’urbex c’è una sorta di codice deontologico che prevede di non svelare i posti: mappiamo i luoghi abbandonati sul satellite, ma abbiamo mappe segrete. Ci sono gruppi chiusi, molto ristretti sui social”.

Ma i posti abbandonati non si trovano solo in Italia. Esperti urbexer si dedicano all’esplorazione all’estero, come Massimiliano Martino. E proprio Martino parla del “mix di emozioni che avvolge la mente” di fronte a un luogo dimenticato. “Sono posti in cui il rammarico si fonde con la malinconia osservando un frammento di vita congelato nel tempo, fragile come una bolla di sapone destinata a scoppiare ma pregno di un’anima eterna da catturare”.

Superare limiti o infrangere le regole?

Ma quale è il motore dell’esplorazione? Anna Galante, psicoterapeuta dell’età evolutiva, spiega come non ci sia “una stessa motivazione che spinga a dedicarsi all’urbex”, anche se spesso sono le emozioni provate a portare alla ricerca della prossima meta.

“Ogni luogo abbandonato”, dice il fotografo Barollo, “può regalare la malinconia del tempo che fu, il senso di bellezza perduta. L’urbex offrela possibilità di decifrare “resti di vite sontuose, architetture imponenti e storie di famiglie che il tempo ha spazzato via. Ogni passo è una valutazione del rischio: un equilibrio tra bellezza della rovina e necessità di rispettare la fragilità dell’abbandono”. Una precarietà che è il catalizzatore perfetto per l’adrenalina.

Anche per Alessio Ricci l’adrenalina è il motore dell’esplorazione, insieme a “una sensazione unica che è quella di bloccare il tempo”. “Il tempo è l’unica dimensione che a livello fisico non può essere controllata. Esplorando questi luoghi provo quella sensazione di tornare al passato. A dare più soddisfazione sono lo stupore e il senso di onnipotenza, oltre all’adrenalina data dalla pericolosità di fare ciò che è proibito”.

Urbex, tra legalità, pericolo e adrenalina

Ma entrare in un luogo abbandonato è reato? Di per sé no, spiega l’avvocato penalista Mattia Fontana. Se l’urbexer non danneggia il luogo, non ruba ed esplora solo edifici abbandonati senza rompere lucchetti, finestre o porte, non si può configurare il reato di violazione di domicilio previsto dall’articolo 614 del Codice Penale.

Eppure, nonostante l’etica degli urbexer sia chiara, la diffusione sui social ha trasformato l’urbex da hobby a moda. E se da un lato è aumentato il numero di persone che si espone al rischio di esplorare luoghi pericolosi, dall’altro sono molti ad approcciarvisi con un atteggiamento vandalico.

Questi edifici abbandonati rappresentano, come ammettono gli stessi urbexer, fonti di pericolo soprattutto per persone inesperte di esplorazione urbana. A dimostrarlo, purtroppo, sono i frequenti casi di cronaca. A maggio del 2024 un liceale è rimasto ferito nell’ex fabbrica della penicillina su via Tiburtina a Roma. Molto peggio è andata lo scorso aprile a una diciannovenne che lo scorso aprile una 19enne ha perso la vita precipitando dal Molino Agostinelli, sempre nella Capitale.

Perché l’urbex non è solo un hobby, spesso diventa una dipendenza emotiva. È la curiositas il motore dell’esplorazione, la ricerca dell’ignoto, il bisogno di trovare in luoghi inaccessibili l’interpretazione del proprio animo. Rompere i sigilli del passato, varcare la soglia di mondi proibiti e dimenticati, camminando in bilico tra legalità e pericolo e catturando l’essenza dell’attimo che fugge.

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