WASHINGTON – Donald Trump veste ancora una volta i panni di uomo più potente del mondo, in quello che è solo l’ultimo atto di un’epopea iniziata almeno otto anni fa. Il tycoon è di nuovo a Capitol Hill – teatro dell’assalto del 6 gennaio 2021, quando i suoi sostenitori avevano contestato la vittoria di Joe Biden – stavolta come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Guidato sempre dalle sue idee populiste, nazionaliste, protezionistiche e conservatrici, The Donald avrebbe già pronti oltre cento ordini esecutivi. In cima alla lista la grazia ai condannati per l’assalto al Campidoglio: il neopresidente avrebbe già pronta una bozza di decreto, cui aveva promesso di dedicarsi “nei primi nove minuti” del suo mandato. Al secondo posto l’immigrazione con il ripristino del controverso Titolo 42, che blocca le richieste di asilo, seguito dalle deportazioni. Un altro decreto-lampo servirebbe a “salvare TikTok”, come ha scritto su Truth. Trump promette infatti di invertire il divieto della piattaforma voluto da Biden: secondo il Washington Post, potrebbe emettere un ordine esecutivo per ritardare il blocco dell’app di almeno 90 giorni, per consentire ulteriori negoziati. Sicuro che con la sua azione renderà l’America “great again”, e che risolverà tutte le crisi internazionali in corso, Donald Trump è tornato per guidare gli Stati Uniti da vincitore.
Le scelte di rottura del primo mandato
Che Trump fosse un “leone da campagna elettorale” si era capito già durante la prima corsa alla Casa Bianca, nel 2016, quando aveva caratterizzato la competizione con Hillary Clinton per il suo linguaggio “politically uncorrect”, denigratorio: la candidata democratica era così “una bugiarda, una corrotta, una donna odiosa”. Inaugurando una strategia comunicativa che non avrebbe mai abbandonato. Basata sull’insulto dei rivali, e l’esaltazione di sé. Il primo mandato, poi, è costellato di decisioni aspramente criticate: The Donald esce dall’accordo di Parigi sul clima, dall’intesa sul nucleare con l’Iran, vara il “Muslim Ban” che vieta l’ingresso negli Usa ai cittadini di diversi paesi mediorientali e africani, comincia una guerra commerciale con la Cina, in un’escalation di tariffe doganali sui prodotti di esportazione di entrambi i paesi. Durante la pandemia, si rifiuta di applicare misure rigorose per rallentare i contagi. Afferma di voler intessere buone relazioni con il suo omologo russo Vladimir Putin, un rapporto su cui crede oggi di poter costruire la risoluzione del conflitto in Ucraina. Con la sconfitta alle elezioni del 2020 e lo scandalo provocato dall’attacco al Campidoglio, luogo simbolo della democrazia liberale in Occidente, la carriera politica di Trump sembra destinata a finire. Ma il tycoon non ha mai considerato di farsi da parte.
La campagna contro Biden
The Donald infatti non solo non si avvia verso un tramonto politico, al contrario viene assolto nei procedimenti di impeachment e sfida la ricandidatura di Biden con ostentata sicurezza. Anche questa volta la strategia comunicativa è aggressiva e Trump non risparmia colpi all’entourage democratico, cui affibbia spesso nomignoli dispregiativi: da “Sleepy Joe”, ovvero “Joe l’addormentato” a “Crazy Kamala” (Kamala la pazza), passando per “Cheating Obama”, Obama lo scorretto. Il repubblicano non risparmia nemmeno altri esponenti del suo partito: “Ron DeEstablishment” per Ron DeSantis, suo contendente alle primarie, detto anche “Shutdown Ron” per le sue politiche di chiusura all’inizio del Covid e “Meatball Ron”, ovvero “Ron Polpetta”, per le sue origini italoamericane.
Il tycoon riesce poi a cavalcare i due attentati subiti durante la campagna elettorale: in Pennsylvania a un comizio elettorale e nella sua proprietà di West Palm Beach in Florida. Dopo un serrato tour in tutto il paese, le sue promesse – a partire da quella di risollevare l’economia americana – convincono la maggior parte degli elettori, anche negli “Swing States”, gli Stati in bilico.
Una volta eletto, non attende per anticipare il taglio che vorrà dare alla sua amministrazione: nomina il patron di Tesla e X Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, capo del Dipartimento dell’efficienza governativa, creato appositamente. Sceglie uno staff che guarda ancora più a destra rispetto a quello del primo mandato: la governatrice del South Dakota Kristi Noem, nota per posizioni conservatrici su immigrazione e diritti civili, va al Dipartimento della Sicurezza interna; alla Sanità Robert F. Kennedy Jr, apertamente no-vax; Chris Wright alle politiche energetiche, scettico sul cambiamento climatico e fautore dei combustibili fossili, solo per citare alcuni nomi.
Di nuovo sul palcoscenico globale
I punti cardine del programma di governo del tycoon restano gli stessi del primo mandato: Trump vuole cambiare tutto, cercando di invertire i processi di globalizzazione, le interdipendenze economiche (soprattutto in senso anti-cinese). Promette di salvaguardare il “sangue americano”. Mantiene il proposito di utilizzare i dazi sulle importazioni come strumento di ricatto per indurre gli alleati a seguire le scelte degli Usa. A partire da Canada e Messico, spinti a fare di più per contenere il flusso di migranti illegali al confine. Sulla Nato, rilancia la reiterata richiesta ai paesi membri di allineare il contributo al 2% del Pil, ipotizzando un rialzo della soglia al 5%. A cui aggiunge la minaccia di una fuoriuscita degli Stati Uniti dall’Alleanza se ciò non dovesse avvenire.
Sul sostegno all’Ucraina, il tycoon parla di una riduzione degli aiuti per poter portare le parti al tavolo dei negoziati quanto prima. Anche a costo di costringere Kiev ad accettare rinunce territoriali. In linea con questo “tone of voice”, il neopresidente è certo di poter risolvere anche il conflitto in Medio Oriente. Una regione stravolta rispetto a quattro anni fa, ma che è sicuro sarà in grado di pacificare. Missione a cui ha iniziato a dedicarsi già da prima del suo insediamento, con il suo inviato Steve Witkoff che ha fatto pressione sul primo ministro Benjamin Netanyahu affinché negoziasse un cessate il fuoco con Hamas. Così, per Trump l’accordo raggiunto il 17 gennaio è stato possibile solo grazie alla sua “storica vittoria”.
Solo un assaggio degli sviluppi a cui si assisterà nei prossimi quattro anni. The Donald è tornato alla Casa Bianca determinato a raggiungere i suoi obiettivi, a rinsaldare l’egemonia Usa in crisi, e a ridisegnare gli equilibri globali secondo la sua personalissima visione.