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HomeCronaca “La rappresentazione dell’Africa attraverso gli stereotipi è un ostacolo alle partnership”

"Gli stereotipi sull'Africa
ostacolano le partnership
e il futuro dell'Europa"

Amb. Pietro Sebastiani, direttore Luac

"Creare reti tra accademia e impresa"

di Leonardo Macciocca01 Ottobre 2025
01 Ottobre 2025

Ambasciatore Pietro Sebastiani, direttore del Centro Universitario Africa Lumsa

L’ambasciatore Pietro Sebastiani, direttore del Centro Universitario Africa Lumsa (Luac), racconta a Lumsanews gli obiettivi della nuova struttura e l’importanza di creare delle reti tra il mondo accademico e imprenditoriale.

In che modo il Centro Universitario Africa Lumsa ha intenzione di promuovere una nuova attenzione al continente africano?

“Il nostro obiettivo è di lavorare su più fronti perché il centro si configura non come un punto di riferimento semplicemente accademico, ma anche accogliente per altre iniziative, come creare sinergie con il mondo dell’imprenditoria, della cultura, dell’arte.”

Qual è l’ostacolo più grande da superare nell’ottica di sviluppo di partnership durature tra l’Europa e i Paesi africani? 

“Una difficoltà è sicuramente legata alla questione degli stereotipi, come ad esempio quello dei barconi. L’Africa non è un continente senza problemi, ma non è neanche un continente fermo, seduto sui suoi problemi, ha voglia di cambiare. L’altro ostacolo è quello di tranquillizzare gli imprenditori, soprattutto i piccoli e medi imprenditori. Naturalmente c’è bisogno di creare anche delle infrastrutture, ma dobbiamo stare attenti a non fossilizzarci troppo su questo tema, in quanto si tratta di una questione risolvibile. L’Africa ha la possibilità di diventare il primo continente completamente autonomo sulle rinnovabili.” 

Che valore ha questo partenariato?

“Dobbiamo tutti lavorare per questo partenariato tra Europa e Africa, perché è il futuro del mondo ed è per l’Europa l’unica possibilità di sopravvivenza economica, perché non ci sono più molti spazi di crescita economica all’interno del Vecchio Continente. L’export funziona per pochi Paesi europei in maniera significativa. Inoltre l’Europa è già indietro di una generazione per quel che concerne le nuove tecnologie; ha accumulato un ritardo enorme, difficile da recuperare nel breve termine.”

Che genere di legami può stringere il Centro Universitario Africa Lumsa?

“Abbiamo lanciato un bando per portare dieci giovani studentesse e studenti della Lumsa che hanno concluso la triennale a fare una winter school a Nairobi, la seconda metà di febbraio. Questa winter school sarà caratterizzata da un primo segmento accademico. Poi ci sarà la possibilità di poter gettare uno sguardo sulla realtà. Incontreranno imprenditori locali e italiani che lavorano lì, giornalisti, politici. In più potranno visitare la cittadella delle Nazioni Unite, dove ci sono alcune agenzie di base a Nairobi come Un-Habitat e Unep.”

Ci sono altre iniziative in programma?

“Successivamente daremo delle borse di studio a giovani studenti africani, per master di secondo livello alla Lumsa. Oltre a ciò il rettore sta firmando un accordo con l’Iccrom, per cui ci saranno questi giovani che verranno per formarsi nella tutela dei beni culturali qui a Roma, faranno anche da noi dei corsi di cultura italiana e di lingua. Poi vorremmo sviluppare sinergie anche con altre organizzazioni internazionali di base a Roma, come Unicri, Idlo e Fao. Inoltre c’è il tema della collaborazione con le associazioni di categoria degli imprenditori, con fondazioni e associazioni che si occupano di cultura, insomma si tratta di mettere in contatto le varie reti.” 

Quindi la chiave è connettere il mondo dell’educazione a quello delle imprese e del lavoro? 

“Assolutamente, questo è cruciale. La cooperazione allo sviluppo ha fondi molto limitati: 190-195 miliardi l’anno, prima di Trump. Adesso saranno diventati probabilmente 160, e il 75-80% di questi fondi sono spesi nei Paesi di origine. Credo molto nella cooperazione, però cerco anche di essere realista, queste cose le ho vissute in varie organizzazioni. Non ci può essere uno sviluppo economico profondo, serio, se non interviene il settore privato, quindi è necessario questo avvicinamento anche del mondo delle università e dell’impresa, a maggior ragione nei confronti dell’Africa. Lì le imprese hanno grandi possibilità, ma a volte sono un po’ frenate dal timore di quello che si sente in Tv e al telegiornale, del sensazionalismo che a volte alcuni giornalisti fanno. Quindi il lavoro cruciale da fare è proprio questa saldatura tra accademia e impresa.”

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