HomeEsteri La Svizzera al referendum. Cittadinanza agli immigrati di terza generazione

Svizzera, al referendum sì
a cittadinanza per immigrati
di terza generazione

Il 60% degli interessati è italiano

No alla riforma fiscale delle imprese

di Fabio Simonelli13 Febbraio 2017
13 Febbraio 2017

Le urne svizzere promuovono la cittadinanza per i giovani stranieri di terza generazione. Il paese elvetico nel referendum di ieri ha approvato con il 60,4% di voti una modifica costituzionale che permette ai nipoti degli immigrati di ottenere la naturalizzazione con un percorso più facile. Il risultato era molto atteso in particolare dalla comunità italiana del Canton Ticino. Sono 25mila i ragazzi interessati, di cui 15mila, il 60%, connazionali. Il resto è formato soprattutto da giovani turchi e balcanici.

Le modalità – L’iniziativa, proposta dal Consiglio Federale, consentirà di chiedere la cittadinanza a 2300 persone circa all’anno. Si tratta di una concessione facilitata, non automatica. Le condizioni per fare richiesta infatti sono piuttosto strette. La legge riguarda solo i minori di 25 anni, nati in Svizzera, che siano andati a scuola per almeno cinque anni e abbiano il permesso di soggiorno valido. Inoltre almeno uno dei genitori deve rispondere agli stessi requisiti, oltre che vivere nel Paese da almeno dieci anni. Ci vuole anche il permesso di residenza di un nonno, oppure quest’ultimo deve essere nato in Svizzera. Infine, i giovani dovranno dimostrare di conoscere l’ordinamento giuridico e i valori fondanti della Costituzione e di parlare una delle lingue dei cantoni. Dulcis in fundo, ma non meno importante, sarà necessario pagare le tasse. Per la prima volta gli elvetici hanno assecondato un cambiamento costituzionale su questo tema, dopo che in due occasioni, nel 1994 e nel 2004, progetti simili erano stati bocciati.

La riforma fiscale – Un no che invece è arrivato per la riforma della fiscalità delle imprese. Il 59,1% ha votato contro il cambiamento che prevedeva agevolazioni retributive per le aziende straniere. Il governo aveva spinto per il Sì, dato che l’Unione Europea e l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ritengono che il sistema sia troppo vantaggioso per le multinazionali e generi una concorrenza sleale. La paura degli abitanti di pagare le tasse che non si raccoglievano dalle imprese, che invece avrebbero goduto di altri sgravi fiscali, ha avuto la meglio.

 

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