La Repubblica Democratica del Congo è uno dei Paesi con la maggior quantità di risorse minerarie al mondo e dalle sue miniere dipende gran parte della tecnologia mondiale. La lotta al controllo dei giacimenti vede interessati il governo legittimo, i gruppi armati e le grandi potenze straniere, con il gruppo ribelle M-23 che – dal marzo 2022 – conduce una guerra nella parte orientale del Paese. Luciano Pollichieni, analista della Fondazione Med-Or ed esperto di Africa, offre a Lumsanews una ricostruzione dell’attuale scenario geopolitico nella Repubblica Democratica del Congo.
Qual è l’attuale contesto politico e sociale nel Paese?
“Nelle regioni dell’est, ricche di risorse minerarie, c’è una guerra in corso scaturita dalla ribellione del gruppo M-23. Questo gruppo armato è supportato dall’esercito del Ruanda, che teme che il Congo possa fungere da base per lo scoppio di un nuovo genocidio, dopo quello del 1994. Un conflitto che ha dunque origini geopolitiche, ma le materie prime rappresentano la principale leva economico-finanziaria per i gruppi armati locali”.
Si può affermare che le risorse minerarie dell’Africa centrale rappresentino l’elemento scatenante di molti conflitti?
“No, l’origine dei conflitti va quasi sempre ricondotta a questioni identitarie e geopolitiche. Ciò nonostante, il fattore dei minerali influenza la gestione della guerra day-to-day, con i gruppi armati che utilizzano i minerali per finanziare il conflitto. Le miniere, dunque, sono un fattore, ma non quello scatenante delle guerre”.
Chi detiene il controllo delle miniere?
“La situazione è piuttosto variegata. Nelle zone del sud e del centro del Paese è pressoché stabile, con il controllo delle giacimenti minerari da parte di gruppi statali e imprese. La Cina è un attore fondamentale nella regione, dopo che nel 2008 ha siglato un accordo noto come “Sicomines”, anche detto “l’accordo del secolo”. Ma nel 2025 gli Stati Uniti hanno investito più di Pechino nell’acquisizione di nuove miniere. Approfittando del cambio di presidenza, gli americani hanno sottoscritto una nuova legge sullo sfruttamento delle risorse minerarie, che mette in difficoltà le aziende cinesi. Stiamo dunque assistendo a un cambio della guardia in favore di Washington”.
Quali sono le condizioni lavorative all’interno delle miniere centro-africane?
“Le condizione lavorative non sono buone. Ci sono alcune miniere più controllate, nelle quali si rispetta un minimo di tutela dei lavoratori, ma l’ecosistema è molto variegato. Ce ne sono di più piccole che sono controllate da gruppi armati: questi, grazie alla forza, si garantiscono il controllo degli snodi minerari”.
Ritiene che la competizione per l’accesso ai minerali strategici tra le grandi potenze mondiali abbia aggravato la situazione?
“Sicuramente i grandi blocchi minerari della regione contribuiscono all’alimentazione del conflitto, ma va ricordato che la prima guerra del Congo risale al 1998. Quindi queste dinamiche esistono da molto tempo. Le miniere, però, permettono la creazione di un’economia di guerra parallela in cui i gruppi armati — al posto di deporre le armi — prendono il controllo di un gruppo minerario, che gli permette di continuare a combattere. Lo stesso M-23 nasce da una fazione insoddisfatta di un gruppo armato che – dopo aver deposto le armi in un accordo con il governo – è sopravvissuta grazie all’economia mineraria, per poi dare vita all’insurrezione che è tuttora in corso”.
Quali percorsi bisogna intraprendere affinché le condizioni dei lavoratori nelle miniere africane migliorino e si eviti il vortice di morte che circonda i giacimenti minerari?
“La corsa allo sfruttamento minerario si combatte con il rafforzamento degli Stati. Credo che si debba mettere sul tavolo un’iniziativa di sfruttamento congiunto delle materie prime da parte dei Paesi della regione dei “Grandi laghi”. Un accordo non diverso da quello che abbiamo fatto noi europei quando abbiamo creato la Comunità del Carbone e dell’Acciaio. Gli Stati africani stanno lavorando in questa direzione tanto che, al G20 di Johannesburg, hanno formalizzato la necessità di gestire lo sfruttamento dei minerali in modo collettivo e rispettoso di determinati parametri”.


