Ufficialmente l’inflazione rallenta, ma il costo dei beni quotidiani essenziali continua a crescere. Tant’è che una famiglia su tre taglia gli acquisti degli articoli di prima necessità. Gli ultimi dati dell’Istat definiscono un’Italia a due velocità. Se i numeri indicano una stabilizzazione del quadro macroeconomico, la vita reale delle famiglie – quella vissuta tra scaffali del supermercato, bollette e bilanci tirati – racconta un’altra storia.
Il costo dell’avidità
Dietro la crescita dei prezzi c’è un meccanismo speculativo. Lo svela l’esperto di pricing Danilo Zatta: “Se il costo di un bene cresce anche solo temporaneamente gli operatori della filiera di produzione colgono l’occasione per ritoccare i listini, giustificandosi con l’aumento dei costi”. Questo avviene “anche quando la materia prima o la logistica non sono state realmente colpite”. Si tratta, afferma l’esperto, di “una forma di inflazione opportunistica in cui il rincaro dei prezzi diventa una scusa per ampliare i margini”. “Ci sono stati casi in cui”, prosegue Zatta, “la grande distribuzione organizzata ha aumentato i costi più del necessario, approfittando del fatto che il consumatore, bombardato da notizie sull’inflazione, si aspettasse comunque dei rincari”.
Il gioco speculativo della finanza
I fenomeni speculativi, però, non si concentrano solo sulla filiera di produzione. Secondo Carlo Ricci, proprietario della storica torrefazione di Roma Sant’Eustachio Caffè, “c’è stata una speculazione dei fondi di investimento” che scommettono sull’andamento dei prezzi dei beni attraverso strumenti finanziari. Non sarebbero i commercianti, dunque, a lucrare sui rincari. Emblematico il caso della Costa d’Avorio dove “i fondi di investimento europei hanno acquistato il cacao e lo hanno venduto a prezzi raddoppiati alle aziende produttrici di cioccolata”, sottolinea Ricci. Pratiche commerciali scorrette che colpiscono il consumatore, l’ultimo anello della catena. Ma anche i piccoli esercenti.
Uno sguardo ai dati dell’Istat
Se diamo un’occhiata ai numeri dell’Istat, a settembre 2025 l’inflazione è rimasta stabile all’1,6% rispetto al mese precedente. Un dato positivo se pensiamo all’8,1% del 2022, anno in cui scoppia la guerra in Ucraina e si registra un’impennata dei prezzi dell’energia.

Il prezzo dei beni di largo consumo – alimentari, igiene e prodotti per la casa – è del 3,1%. In leggero calo rispetto al +3,4% di agosto, ma comunque alto. “La lievissima regressione dell’inflazione generale potrebbe far pensare a una piccola crescita del potere d’acquisto delle famiglie. Ma in realtà non è così”, spiega Riccardo Moro, economista e docente di Politiche dello sviluppo alla Statale di Milano. La riduzione dell’aumento generale dei prezzi può indurre in errore. Infatti, “se scomponiamo il paniere (l’insieme di beni e servizi – ndr.) con cui l’Istat misura l’andamento dei prezzi”, chiarisce l’esperto, “vediamo che la spesa dei prodotti alimentari è cresciuta del 4% nell’ultimo periodo”. Un aumento che si riflette sulle scelte di acquisto delle famiglie. Più contenuta, invece, è la crescita dei prezzi degli articoli per la casa: solo lo 0,5%.

Si tratta di numeri certificati che però non raccontano tutta la realtà percepita da milioni di consumatori. I nuclei familiari a rischio indigenza, conferma Moro, sono “un quinto del nostro Paese, una percentuale enorme”. Basti pensare che, sempre secondo l’Istat, nel 2024 sono state oltre 2,2 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta in Italia. In totale, 5,7 milioni di individui.
L’illusione della stabilità
Sono tre gli indici di riferimento utilizzati dall’Istat per calcolare l’inflazione: l’indice armonizzato europeo (Ipca), per l’intera collettività nazionale (Nic) e per le famiglie di operai e impiegati (Foi).
Come afferma Alessandro Brunetti, dirigente di ricerca e responsabile del settore dell’Istat che misura i prezzi al consumo, “il Nic e il Foi considerano il costo di acquisto del bene o del servizio indipendentemente da chi sostiene la spesa”. Mentre “l’Ipca tiene conto del prezzo effettivamente pagato dalle famiglie”. Una differenza che può sembrare tecnica, ma che influisce in modo concreto sulla misurazione del dato generale perché “il tasso di inflazione può risultare leggermente diverso a seconda dell’indice considerato”. Significa, dice Brunetti, che “alcune voci di spesa concorrono a mantenere bassa la stessa inflazione, altre invece la sostengono”. Con il risultato che “l’effetto complessivo è quello della stabilità” anche se “gli andamenti dei prezzi sono piuttosto diversificati”.
Chi tutela i consumatori chiede più trasparenza
In questo scenario, c’è chi sottolinea l’importanza di dati più chiari. Lo fa per esempio Mauro Antonelli, responsabile dell’Ufficio studi dell’Unione Nazionale Consumatori.“Per avere una fotografia più dettagliata della situazione economica delle famiglie italiane sarebbe necessario introdurre due nuovi indici”. Il primo dovrebbe essere “simile al Nic ma con i pesi calcolati sulla base dei consumi delle famiglie residenti”, mentre il secondo riguarderebbe “i pensionati al minimo” e dovrebbe essere tarato “sulla base della spesa di chi non arriva a fine mese”.
L’esperimento del “carrello tricolore”: cosa non ha funzionato?
Nel tentativo di contenere l’aumento dei prezzi sui beni di largo consumo, il governo Meloni aveva lanciato dal 1° ottobre al 31 dicembre 2023 l’operazione “carrello tricolore”. Un patto anti-inflazione di tre mesi con le imprese della grande distribuzione e gli esercizi commerciali. Ma i risultati, secondo Antonelli, non sono stati quelli sperati: “Non c’era un impegno preciso. Ad esempio, avrebbe potuto esserci un elenco dettagliato dei prodotti con un obbligo di tutta la filiera a ridurre i prezzi praticati. Ma così non è stato”.
Caro vita e stipendi fermi, la vera emergenza
Il punto è che la capacità di spesa dei consumatori è frenata, tra gli altri, dal potere d’acquisto ridotto degli stipendi. Non è un caso che le famiglie spesso si trovino a dover scegliere tra risparmio e rinuncia. Secondo un’indagine di SWG, solo il 55% degli italiani riesce a coprire i costi delle spese quotidiane, mentre per il 17% è impossibile far fronte a una spesa imprevista di 1.000 euro. Numeri che testimoniano come oggi la vita quotidiana pesi più di qualsiasi indice statistico.


