ROMA – L’intelligenza artificiale a servizio della genetica è già realtà e prova ora a raggiungere nuovi traguardi. A farlo è l’azienda statunitense Deepmind che già nel 2020 aveva sfruttato il suo sistema di AI, detto AlphaFold, per prevedere la struttura tridimensionale delle proteine. Un traguardo che nel 2024 è valso il premio Nobel per la chimica ai responsabili del programma di intelligenza artificiale, Demis Hassabis, John M. Jumper e John Jumper.
Ora l’obiettivo è utilizzare l’intelligenza artificiale per decifrare il patrimonio genetico contenuto nel dna umano. Dopo AlphaFold l’azienda statunitense lancia quindi il nuovo modello AlphaGenome. Il focus di scienziati e programmatori si è spostato su quello che viene definito come junk dna, ovvero quella parte di materiale genetico che non si occupa di codificare proteine e che in passato è stato etichettato come “spazzatura” proprio per la sua apparente inutilità. Un lato oscuro del nostro patrimonio cellulare che si è scoperto in realtà occuparsi dell’attività dei geni umani controllandone i tempi. Come sottolinea un recente articolo sulla rivista scientifica Nature, comprenderne il funzionamento significherebbe svelare i motivi delle mutazioni genetiche e quindi prevenirle.
Il cosiddetto junk dna costituisce infatti il 98% del genoma umano, sequenze in passato misteriose che il nuovo modello AlphaGenome potrebbe però ora decodificare. L’AI può leggere quelle sequenze fino ad oggi sconosciute e prevederne la funzione nell’organismo umano e quindi anche le sue possibili mutazioni. Uno strumento che secondo gli esperti in un futuro non troppo remoto potrebbe permettere la progettazione di sequenze di dna perfettamente progettati dall’intelligenza artificiale.