Mali, dopo l’intervento militare francese
Si teme un nuova escalation degli estremismi islamici

Il continente africano si conferma uno scacchiere arduo da decifrare; l’intervento francese in Mali del mese scorso ne è la dimostrazione più recente; tecnicamente, per ora, gli obiettivi strategici e militari prefissati sembrerebbero raggiunti, ma il rischio “pantano” è uno scenario non ancora del tutto fugato.

Almeno questa è l’impressione di Olivier Zajec, ricercatore dell’Institut de stratégie et des conflicts, che in un’analisi pubblicata dal periodico francese Le Monde Diplomatique, getta ombre sulla reale riuscita dell’operazione Serval.
L’ascesa del terrorismo. Il governo transalpino, inizialmente titubante (fino all’ottobre scorso il presidente Hollande allontanava le ipotesi d’intervento militare), sarebbe intervenuto quando l’ascesa dei terrorismi islamici nel Sahel (la fascia continentale immediatamente sottostante il maghred) era diventata insostenibile; un’alleanza, quella tra i salafiti jihadisti del Mujao (il movimento per l’unità della jihad nell’Africa dell’Ovest) e i membri di Aqmi (Al Qaeda nel maghreb islamico), che ha in poco tempo sbaragliato il debole esercito maliano e conquistato roccaforti strategiche nel sud del Paese (istituendo a quartier generale della rivolta la città di Konna, a pochi chilometri dalla capitale Bamako).
Un conflitto “francese”. Se a questo aggiungiamo che il supporto alle forze francesi da parte dell’Unione europea e soprattutto degli Sati Uniti è stato piuttosto timido, nonostante ci fosse una risoluzione Onu ad avallare l’intervento in appoggio delle forze governative, i rischi legati ad un’avventura solitaria di Parigi erano molti già in partenza. E infatti, aldilà di una repentina riconquista delle zone occupate dai ribelli, dopo le prime settimane di scontri la situazione ha ricalcato ciò che in passato è accaduto per l’Afghanistan: stallo assoluto e ritorno di fiamma degli estremismi.
Verso il nulla di fatto. Naturalmente un quadro del genere apre la porta ad un effetto boomerang che riporterebbe i gruppi terroristici a riconquistare pian piano i territori persi; ciò esporrebbe non solo la popolazione ai rischi di un riaccendersi delle violenze (a quel punto amplificate dalla presenza dei militari stranieri sul proprio suolo) ma condurrebbe ad un’inutile stanziamento di soldati, lasciati soli a combattere una quotidiana battaglia in nome di interessi che poco hanno a che fare con la libertà del popolo maliano e che, al contrario, si avvicinano più alla necessità del governo francese di tenere sotto controllo un territorio strategicamente importante.

Marcello Gelardini