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Maraini: “Se Pasolini vedesse la Roma di oggi, vedrebbe una città indifferente”

di Irene Di Castelnuovo22 Ottobre 2025
22 Ottobre 2025
pasolini

La scrittrice Dacia Maraini | Foto Ansa

Oltre alle giornate trascorse nelle borgate romane, Pasolini amava incontrarsi con gli intellettuali del tempo nei salotti borghesi della Capitale. La scrittrice Dacia Maraini, frequentatrice di quegli ambienti e sua amica, ricorda con Lumsanews quei tempi passati.

Che tipo di legame aveva Pasolini con Roma e con i suoi quartieri popolari, che tanto hanno segnato la sua scrittura e il suo sguardo sul mondo?

“Aveva idealizzato il sottoproletariato romano, a tal punto da mimare anche il suo linguaggio nei due libri che ha scritto. Poi però ne è rimasto deluso, diceva che aveva accettato e assorbito i valori borghesi e ha smesso di scriverne. Da quella delusione nasce la passione per l’Africa nera in cui vedeva quella purezza, quel primitivo candore, che cercava da sempre”.

Molti di quei quartieri oggi sono cambiati radicalmente. Secondo lei, quanto di quell’anima pasoliniana resiste ancora nella Roma contemporanea?

“L’anima semplice e pura che lui cercava secondo me non esiste da nessuna parte. Ma lui la cercava, come un sogno irraggiungibile. In questo periodo poi stiamo tornando a forme di regressione feroce. La rabbia e l’odio sono diventati cibo quotidiano. Credo che Pasolini ne sarebbe indignato”. 

Lei faceva parte di un ambiente intellettuale straordinario. Che atmosfera si respirava in quei luoghi di incontro dove si discuteva di arte e politica?

“Vivevamo l’entusiasmo della fine del fascismo e del nazismo che avevano distorto e avvelenato la convivenza democratica. C’era una grande solidarietà e molta amicizia. Ci si vedeva per il piacere di vedersi e non per avvenimenti occasionali come le fiere, le tavole rotonde, i premi…”.

Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini | Foto Ansa

Come riusciva, secondo lei, a frequentare e tenere insieme queste realtà così distanti?

“Non erano realtà lontane. Erano tutte persone che amavano e praticavano la cultura: scrittori, pittori, cineasti, musicisti, si sentivano tutti parte di una comunità artigianale. Fare soldi non era considerata l’attività principale. E neanche il successo era considerato uno scopo essenziale. La voglia comune di ricostruire con le parole, col pensiero, con la musica, con la pittura, un mondo nuovo ci teneva uniti”. 

Se oggi volessimo costruire un itinerario, quali luoghi consiglierebbe di visitare per capire davvero il rapporto di Pasolini con Roma?

“Roma è molto cambiata. I luoghi di Pasolini sono scomparsi. Triste che non ci sia nemmeno una casa museo di Pasolini da visitare, una casa in cui si possano conservare le sue carte, i suoi libri, i suoi quadri, i suoi oggetti quotidiani. È stato tutto venduto”. 

Pasolini vedeva nelle periferie una purezza e un’energia perduta nel centro borghese. Crede che quella distinzione esista ancora?

“Credo proprio di no. La cultura del consumo ha dilagato e invaso tutta la città cambiando i rapporti. Non esistono nemmeno le classi a cui si riferiva il marxismo. Gli operai sono stati sostituiti dalle macchine. È sparita la classe operaia. I poveri non sono più quelli di prima ma altri”.

Roma è un personaggio vivo nelle sue opere. Secondo lei, come riusciva Pasolini a trasformare i luoghi in strumenti di racconto morale e poetico?

“Roma gli è stata cara finché vi ha trovato il suo popolo sognato, quello ancora non corrotto dalle deprecabili abitudini borghesi. Quando si è accorto che era solo un sogno, è caduto nella disperazione. Il suo ultimo film ne esprime la desolazione”. 

Se Pasolini potesse camminare oggi per Roma, cosa pensa che direbbe? La riconoscerebbe ancora come la sua città?

“Non credo. I cambiamenti non hanno migliorato la città, ma l’hanno resa consumistica, volgare. Indifferente. E lui non è mai stato indifferente”.

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