Dall’inizio dell’aggressione russa, circa un terzo della popolazione ucraina è dovuta fuggire dal proprio paese. 8 milioni di profughi sono stati accolti in tutta l’Europa. Maria, 46 anni, insieme ai suoi due figli, è dovuta scappare da Severodonetsk, la sua città natale che definisce “la più bella del mondo”. È lì che ha vissuto quasi tutta la vita, in quella città ora distrutta dai bombardamenti. Dopo un lungo viaggio, ora è a Roma.
Maria, com’era la sua vita prima della guerra?
“Lavoravo in una raffineria di petrolio in una città vicina a Severodonetsk e lì ho conosciuto il mio secondo marito. La nostra vita è stata tranquilla e serena fino al 2014, poi c’è stata la prima invasione e siamo andati in Russia dove avevamo dei parenti. In seguito, siamo tornati nella nostra vera casa, in Ucraina. Al rientro però abbiamo scoperto che la fabbrica dove lavoravo non funzionava più perché tutti i collegamenti erano stati tagliati tra Russia e Ucraina. In molti siamo rimasti senza lavoro, non c’erano prospettive. Fortunatamente, mi sono reinventata: ho trasformato quello che era il mio hobby in una vera occupazione. Sono un’allenatrice sportiva e ho lavorato a Severodonetsk con un gruppo di persone che facevano fitness con me da molti anni. Nonostante le difficoltà, non volevo trasferirmi perché ovunque andassi sognavo sempre di tornare a Severodonetsk. A novembre 2021, proprio poco prima dell’invasione, avevamo acquistato un appartamento con due camere da letto. Avevo anche fatto una piccola ristrutturazione, iniziando a dare vita al mio sogno…”.
Cosa ricorda del primo giorno dell’invasione russa?
“Il 24 febbraio io e mio figlio di quattro anni siamo usciti prestissimo per andare all’asilo nido. Eravamo all’aperto quando ci sono state le prime esplosioni. Siamo subito corsi a casa. La sera, siamo scesi nel seminterrato e abbiamo passato lì la notte. La mattina dopo siamo usciti un paio di volte per prendere un bollitore e qualche bene di prima necessità, ma poi i combattimenti si sono intensificati, così tanto che non potevamo uscire nemmeno per prendere un po’ d’aria”.
Come avete trascorso i primi giorni?
“Il giorno dopo ci siamo spostati in un rifugio creato in una scuola vicina, un posto più preparato e attrezzato per queste emergenze rispetto al seminterrato del nostro palazzo. Abbiamo trascorso nove giorni nel seminterrato della scuola. Il settimo giorno, una granata ha colpito la scuola, molto vicino a noi. Eravamo più di 200 persone insieme e se la granata fosse caduta poco più vicina a noi, il rifugio sarebbe diventato una fossa comune. Così abbiamo deciso di fuggire dalla città”.
Come è stato il viaggio?
“Molto lungo e stancante. Severodonetsk non ha collegamenti ferroviari, perciò siamo dovuti andare a Lisichansk, nell’oblast’ di Luhans’k, per prendere il treno. Abbiamo percorso tutto il tragitto in auto sotto le esplosioni, ma in qualche modo siamo riusciti a raggiungere la stazione. Lì abbiamo scoperto che sul treno che partiva eravamo più di 2.500 persone: otto volte la capienza normale. È impossibile capire come e in che condizioni stavamo viaggiando. Nelle cuccette, in un posto letto singolo c’erano fino a otto bambini”.
E così è passato il primo giorno di viaggio…
“Sì, ero molto debole e stanca. Grazie al treno siamo arrivati a Užhorod – una città nell’ovest dell’Ucraina, al confine con l’Ungheria – dove siamo rimasti per una settimana per guarire e recuperare le forze. In seguito, abbiamo attraversato il confine con la Slovacchia insieme agli altri profughi. Una mia amica, che era già stata in Italia e conosceva l’italiano, si è unita a noi e abbiamo deciso di andare in Italia insieme. In Slovacchia abbiamo acquistato i biglietti per il treno verso l’Ungheria con una tariffa simbolica di 1 euro per posto.
Dopo aver attraversato diversi paesi siamo arrivati in Ungheria. Lì abbiamo dovuto aspettare qualche giorno il treno che ci avrebbe portato in Austria. Siamo stati ospitati per due giorni da delle persone molto gentili: una coppia di coniugi che aiutava i profughi ucraini. Sono molto grata a loro perché finalmente, dopo molti giorni, abbiamo potuto dormire al sicuro dalle bombe”.
Poi siete arrivati in Austria…
“Anche in Austria abbiamo aspettato un altro treno per qualche ora, poi abbiamo lasciato l’Austria per Milano e da lì ci siamo messi in viaggio per Roma. Ci hanno consigliato di andare lì perché c’era più possibilità di stare insieme con gli altri rifugiati del nostro gruppo. Così siamo finiti in un albergo a Roma grazie a un’associazione che si occupa dei profughi e alla Croce Rossa, dove viviamo ancora oggi da marzo del 2022”.
Come vi trovate a Roma?
“Mio figlio più grande, che ha 25 anni, studia online e segue anche dei corsi di italiano gratuiti. Il più piccolo va all’asilo. Gli piace molto, ci sono degli insegnanti meravigliosi. Capisce già quello che gli viene detto in italiano, a differenza di me, che ho ancora qualche difficoltà, nonostante i corsi che seguo cinque volte alla settimana. Al momento non lavoro. Ma ce la faremo sicuramente. Naturalmente, non posso dire che tutto sia perfetto, ma sono immensamente grata a questo Paese per averci ospitato. Abbiamo alloggio e cibo gratuito, ma se potessi tornerei a casa anche a piedi. Al momento, però, la mia città è occupata, quindi non c’è nessun posto dove andare. Non sono a conoscenza dello stato della mia casa, non ho idea di cosa sia successo, non c’è nessuno che si trovi lì e che possa dirmi cosa sia rimasto. All’inizio della guerra, quando si poteva ancora passare in quella zona, mi hanno riferito che il palazzo è stato colpito da un missile al quarto piano, mentre il mio appartamento è al terzo. Forse la mia casa non esiste nemmeno più”.
Quali sono i suoi desideri per il futuro?
“Non voglio che i miei figli vadano in guerra. Mio marito, il padre del più piccolo, è al fronte per difendere il nostro Paese. Penso che nessuna donna che mette al mondo dei figli e che conosce il valore della vita vorrebbe mai per sé e per i suoi cari tutto quello che sta accadendo ora in Ucraina. Sono davvero stanca di correre avanti e indietro dal 2014, di sentire sempre le esplosioni… Forse mi basterebbe anche uno spazio di due metri dove nessuno mi possa toccare. Credo di non aver bisogno di nient’altro per essere completamente felice. Ma dico credo perché si vive solo l’oggi, giorno per giorno”.