Milan's Leonardo Bonucci shows his dejection during the Italian Serie A soccer match Hellas Verona FC vs Ac Milan at Bentegodi stadium in Verona, Italy, 17 December 2017. ANSA/SIMONE VENEZIA

Il Milan e le sue sorelleQuando il ritiro punitivoè il rimedio alla crisi

Obiettivo ritrovare forma e motivazioni una tendenza molto utilizzata in Serie A

Rendimento al di sotto delle aspettative, motivazioni che sembrano mancare, fischi dei tifosi. Quando nulla va per il verso giusto, ecco l’asso nella manica delle dirigenze: squadra in ritiro (punitivo). Una mossa quasi disperata, per raddrizzare una stagione fin qui deludente. Ne sa qualcosa il Milan, strapazzato domenica scorsa dal Verona penultimo in classifica. Ieri, al termine di una giornata a dir poco travagliata, ecco il comunicato: brindisi di Natale cancellato e squadra riunita a Milanello fino a nuovo ordine. Ma i rossoneri sono in buona compagnia.

Quella del Milan è una decisione molto forte, quasi un castigo, se si pensa che arriva a cavallo delle festività natalizie. Per giunta nel primo anno in cui il nostro campionato non si ferma per la sosta invernale. Meglio provare subito a cambiare rotta, perché sabato arriva un’Atalanta in formissima e il 27 dicembre c’è il derby di Coppa.

L’ultimo ritiro punitivo rossonero venne imposto da Sinisa Mihajlovic ad aprile 2016, dopo una sconfitta proprio contro i bergamaschi. Dopo tre giorni tutti insieme, però, arrivò un’altra sconfitta. La Juventus vinse 2-1, il mister venne esonerato e al suo posto arrivò Cristian Brocchi. Il Milan sarebbe arrivato alla fine al settimo posto, fuori dalle coppe europee.

Sull’altra sponda dei Navigli, i tifosi dell’Inter ricordano un ritiro abbastanza recente: la scorsa stagione, durante la gestione di Stefano Pioli, il black-out dopo il filotto di vittorie iniziale. Dopo la rocambolesca sconfitta per 5-4 sul campo della Fiorentina, la decisione della società: ritiro ad Appiano Gentile. Seguirono però altre due sconfitte, contro Napoli e Genoa, e l’esonero di Pioli.

Persino la Juventus dei sei scudetti consecutivi ha conosciuto il castigo del ritiro. Avvenne nell’ottobre 2015: dodici punti raccolti nelle prime dieci giornate, record negativo per i bianconeri nell’era dei tre punti a partita. “Staremo due giorni tutti assieme appassionatamente e prepareremo la partita contro il Torino”, spiegò Massimiliano Allegri. La Juve vinse derby e scudetto a fine stagione. Record su record.

Sono tante altre le squadre andate in ritiro per rimettersi in carreggiata negli ultimi anni: il Napoli di Benitez, il Torino di Mihajlovic, il Benevento a inizio stagione. Con risultati diversi tra loro. Ma il concetto di ritiro obbligatoriamente rimanda anche alle Nazionali:  dall’Olanda di Johan Cruijff nel 1974, quando la federazione aprì le porte a mogli e figli dei giocatori per preparare i Mondiali di Germania, all’Italia Mundial del 1982, con le famose partite a carte dei calciatori con Enzo Bearzot.

Oggi spesso i ritiri vengono ritenuti controproducenti dagli stessi calciatori. Molte volte il tempo scorre, lentamente, davanti al telefonino o alla playstation, nella noia generale. Una vera e propria clausura forzata. Ma quando non arrivano i risultati, si sa, si farebbe di tutto per tornare a vincere.

Carmelo Leo

Nato a Messina nel 1993, ha conseguito la laurea triennale in Scienze delle Relazioni Internazionali e Politiche nel 2016 con una tesi dal titolo “Il declino del sogno americano: gli Stati Uniti nel tornante storico del Sessantotto”. Dopo qualche breve esperienza giornalistica online si è iscritto al Master in Giornalismo della LUMSA. Appassionato di storie, che siano esse libri, film, racconti, videogiochi o canzoni.