HomeSport “Plusvalenze necessarie per l’equilibrio economico delle squadre italiane”

"Plusvalenze indispensabili
per l'equilibrio economico
delle squadre italiane"

Marco Bellinazzo illustra a Lumsanews

lo stato dei bilanci dei club italiani

di Valerio Albertini30 Marzo 2021
30 Marzo 2021

Marco Bellinazzo è un giornalista del Sole 24 Ore, dove gestisce anche il blog Calcio & Businness. Esperto di economia sportiva, è spesso ospite di trasmissioni radiofoniche e televisive in cui discute degli investimenti che ruotano attorno al mondo del calcio. A Lumsanews ha chiarito la situazione finanziaria dei club italiani.

Le squadre italiane acquistano e vendono ogni anno moltissimi giocatori. Si tratta di una scelta di natura economica? Se sì, perché in Italia abbiamo questa necessità al contrario di quanto avviene in Inghilterra, Spagna e Germania?

Le plusvalenze purtroppo sono diventate la seconda voce di entrata dei club italiani dopo i diritti tv. Fruttano più dell’area commerciale e degli stadi. Parliamo di una cifra annuale di circa 700 milioni, indispensabile per tantissimi club per conservare l’equilibrio economico o per avere perdite più basse ed evitare che gli imprenditori debbano mettere mano al portafoglio per coprire i rossi di bilancio. Il calciomercato non è un elemento virtuoso, ma può esserlo quando è nel DNA delle squadre formare talenti e venderli. Il problema sorge quando le operazioni di calciomercato hanno la sola finalità di manage contabile, ciò avviene soprattutto sfruttando gli scambi.

Negli ultimi cinque anni la Juventus ha speso 943 milioni per acquistare giocatori, a fronte di 743 incassati. Pensa che la famiglia Agnelli possa continuare a investire in questa misura, pur non avendo raggiunto i risultati sportivi sperati?

Una cosa sono le possibilità economiche, l’azionista Exor ha sempre sostenuto il club e continuerà a farlo. Non più tardi di un anno e mezzo fa è stato realizzato l’aumento di capitale di 300 milioni di euro, due terzi dei quali investiti proprio dalla Exor. L’altro tema è capire se determinate scelte in sede di mercato si potranno continuare a fare. Sicuramente l’attuale emergenza finanziaria dei club collegata alla pandemia imporrà delle scelte diverse nel breve periodo. Penso che anche le ultime operazioni effettuate l’anno scorso, che sono state rivolte soprattutto ai giovani e non più a giocatori già maturi da prendere a parametro zero ma con ingaggi molto elevati come Ramsey e Rabiot, siano un segnale importante per capire dove la Juventus e la proprietà Exor vogliano andare.

Squadre italiane che potremmo definire di seconda fascia come Roma, Lazio, Atalanta e Napoli hanno la stessa forza economica delle loro omologhe tedesche e spagnole come Bayern Leverkusen, Borussia Monchengladbach, Siviglia? O siamo indietro anche rispetto a loro, oltre che alle squadre inglesi?

Lo squilibrio economico che c’è tra i club di vertice italiani e quelli spagnoli e tedeschi non è così marcato tra i club di seconda fascia. Se escludiamo il Borussia Dortmund in Germania e l’Atletico Madrid in Spagna, che si pongono su un livello economico paragonabile a quello di Inter e Milan, i club italiani di seconda fascia hanno fatturati e potenzialità economiche non dissimili rispetto ai loro omologhi spagnoli o tedeschi, forse anche superiori. A differenza di questi ultimi club, però, le società italiane, per crescere e tentare di stare in Europa competendo anche a livello nazionale, in questi anni hanno fatto spese che non erano proporzionate ai loro ricavi. Penso in particolare alla Roma: questo ha creato gravi difficoltà sul bilancio, tant’è che la società capitolina è finita anche sotto lo scudo del fair play finanziario e ha dovuto virare nelle ultime stagioni verso politiche più attente ai conti.

Crede che la crisi economica globale dovuta alla pandemia accrescerà le disparità economiche tra il nostro campionato e le altre principali leghe europee? O le difficoltà comuni a tutti i club finiranno per livellare queste differenze?

Posto che le difficoltà economiche ci sono per tutti, mentre quelle finanziarie sono un po’ più a macchia di leopardo, il vero rischio non è tanto quello di accentuare le differenze tra le top league ma piuttosto quello di accentuare le differenze tra la dozzina di top club e tutte le altre squadre. Si pongono oggi delle scelte molto radicali riguardo la possibilità di cambiare il format di competizioni internazionali, che potrebbero allargare i mercati e quindi portare ricavi che in questo momento sono venuti meno a causa della pandemia. Il vero tema sarà capire quali scelte farà in futuro la Uefa, ad esempio riguardo la Super Champions: come deciderà di distribuire le maggiori risorse che regalerebbe la competizione e se garantirà anche ai club minori la possibilità di avere maggiori ricavi e quindi di poter crescere. Se non riuscisse a farlo finiremmo per avere un calcio polarizzato da una dozzina di club che hanno fatturati sopra i 400/500 milioni, che torneranno a crescere e si accaparreranno i giocatori migliori. L’alternativa resta quella di un modello che possa permettere anche ad altri dieci o venti club di crescere e di elevare sia la propria capacità economica sia quella di competere sul campo.

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