Semipresidenzialismo, l’eterna suggestione italiana

Dopo il voto per le elezioni amministrative 2021, il mondo politico ora guarda all’elezione, il prossimo febbraio, del presidente della Repubblica. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha recentemente lanciato una sfida al segretario dem Enrico Letta: “FdI è disponibile, ammesso che sia disponibile anche il Pd, a votare per Draghi alla presidenza della Repubblica a patto che dopo si vada subito al voto”.

Inaspettatamente, però, è stato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, a sbilanciarsi. In un’intervista alla Stampa dello scorso 27 settembre, il vicesegretario federale della Lega ha rivelato la sua posizione. Con Mario Draghi al Quirinale il ruolo del Colle cambierebbe. Il primo ministro “diventerebbe come Charles de Gaulle”, ha dichiarato. Così Giorgetti ha riacceso i riflettori sulla mai morta suggestione del semipresidenzialismo.

Il modello francese e le caratteristiche del suo sistema elettorale

La forma di governo semipresidenziale a cui guarda il ministro dello Sviluppo economico è quello francese. Angelo Rinella, docente di Diritto Costituzionale a Lumsanews spiega che quello della Quinta Repubblica francese è “il modello esemplare di semipresidenzialismo”.

L’attuale forma di governo del Paese d’Oltralpe però non è quella introdotta dalla Costituzione del 1958, bensì quella voluta dal generale de Gaulle, quattro anni più tardi con l’elezione diretta del Capo dello Stato.

Da quel momento è nato il “modello bicefalo”, a due teste: un presidente della Repubblica eletto a suffragio universale, libero da qualsiasi legame fiduciario, e un governo che invece ha la fiducia del Parlamento. Per semipresidenzialismo, quindi, si intende un regime politico che presenta aspetti caratteristici sia della forma di governo presidenziale e sia di quella parlamentare.

L’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari a Lumsanews spiega che “non esiste un semipresidenzialismo, esistono invece varie forme di presidenzialismo. Il semipresidenzialismo in sé non definisce nulla tecnicamente, indica soltanto un Paese in cui le forze politiche hanno le idee confuse”. Di certo, come sottolinea il docente di Scienza Politica all’Università della Tuscia di Viterbo Luigi Di Gregorio, “il modello francese è legato a doppio filo con un sistema elettorale” fortemente orientato in senso maggioritario.

Modello che trova l’approvazione anche del costituzionalista e deputato dem Stefano Ceccanti, che, in linea con Cacciari, spiega: l’unica alternativa realistica al sistema di voto vigente in Italia è “una riforma simile al modello elettorale dei Comuni” – e quindi a quello francese – “dove non ci siano i collegi uninominali, ma liste coalizzate tra di loro, che così possano prendere un premio di maggioranza in caso di vittoria”.

Il dibattito ultradecennale sul semipresidenzialismo 

Di Gregorio sottolinea che si parla di modifica della forma di governo italiana in senso semipresidenziale “dagli anni post Tangentopoli, con la transizione al sistema elettorale maggioritario del ‘93.” Allora si pensò di introdurre una modifica costituzionale della forma di governo. Il tema, “sempre caro alla destra”, è stato affrontato in più occasioni durante la Seconda Repubblica.

Le proposte arrivarono dal leader di Forza Italia, durante il primo e il terzo governo Berlusconi nel 1994 e nel 2006. “A parte il richiamo periodico del centrodestra”, Rinella ricorda che anche i lavori della Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema avevano indicato come possibile un’ipotesi simile.

Naufragate tutte le proposte e discussioni, dal 2014 il modello francese è stato riproposto più volte, in particolare dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

Cacciari però fa notare che “non c’è niente di destra nel presidenzialismo e nulla di sinistra in un assetto ultraparlamentare. Il presidenzialismo è una soluzione tecnica che potrebbe andare benissimo sia alla destra e sia alla sinistra”.

Perché non si arriverà a questa riforma

La tendenza alla personalizzazione della politica, già presente a livello istituzionale nell’elezione dei sindaci e dei presidenti di Regione, oltre che nelle organizzazioni partitiche, fatica ad affermarsi nelle istituzioni nazionali. La causa di questo atteggiamento diffidente va rintracciata, secondo Di Gregorio, nell’eredità del ventennio fascista. Secondo il professore sarà impossibile aprire un dibattito costruttivo in questi mesi, anche perché “siamo stati alle prese con una campagna elettorale che si è chiusa proprio sulla scia del fascismo e dell’antifascismo”.

Nettamente contrario all’ipotesi di introdurre una modifica della forma di governo in senso semipresidenziale è Cacciari. In seguito alla riforma della riduzione del numero dei parlamentari, secondo il filosofo, si arriverà a una riforma elettorale in senso proporzionale e quindi ci allontaneremo dall’idea di modificare il sistema di voto in senso maggioritario. Una riforma che per il filosofo “sarebbe salutare”, anche per porre rimedio all’astensionismo delle scorse elezioni amministrative, dove “il dato più allarmante e preoccupante della tornata elettorale, sembra non interessare a nessuno”, tantomeno alla politica.

A ciò va aggiunto che all’indomani dall’esito dei ballottaggi delle Comunali e quindi dopo il “deludente” risultato elettorale della destra, nonostante Meloni, Salvini e Berlusconi abbiano aperto al sistema maggioritario, ad oggi appare improbabile che si parli di svolta in senso semipresidenziale. Difficilmente, infatti, il nome di Draghi al Colle troverà un seguito, anche perché è stato proprio il Cavaliere – che secondo ricostruzioni giornalistiche ambisce a quel ruolo e da sempre è stato promotore dell’introduzione del semipresidenzialismo – a mostrare alcune perplessità: “Draghi sarebbe certamente un ottimo presidente della Repubblica, ma mi domando se il suo ruolo attuale non porterebbe più vantaggi al nostro Paese”.

Ceccanti spiega che l’ipotesi di candidare Draghi al Colle e la modifica della forma di governo in senso semipresidenziale sono “questioni che vanno tenute rigorosamente distinte. Se si vuole fare un ragionamento di riforma delle istituzioni, compresa l’introduzione del modello francese se ne può discutere, ma questo non ha nulla a che fare con la scelta del prossimo candidato al Quirinale, che avviene a Costituzione invariata e dove la scelta di Mario Draghi sarebbe inopportuna, anche perché è ampiamente preferibile che resti a guidare il governo del Paese”.

Foto copertina di Wolfgang Moroder  (CC BY – SA 3.0)