Met Opera di New York / Ajay Suresh from New York, NY, USA, CC BY 2.0 via Wikimedia Commons

"Stereotipi nella Turandot"L'avviso del Met accendela polemica sull'opera

L'avvertenza del teatro di New York "Distorsioni razziste contro i cinesi"

NEW YORK – “Un capolavoro emozionante ma problematico”, con “contraddizioni, distorsioni e stereotipi razziali”. È questa l’avvertenza per il pubblico che arriva dal Metropolitan Opera di New York, che fino al prossimo 7 giugno ospiterà l’ultimo capolavoro di Giacomo Puccini.

In una nota il blasonato teatro d’opera della Grande Mela ha infatti offerto un avvertimento al pubblico sull’opera dedicata alla impossibile storia d’amore tra il principe tartaro e la figlia dell’imperatore, in ossequio al “politically” correct e alla “cancel culture”.Tra le distorsioni e gli stereotipi individuati dal Met ci sono i nomi di alcuni personaggi, dalla principessa Liù ai ministri Ping, Pang e Pong, e il riutilizzo di melodie tradizionali ri-orchestrate in stile occidentale.

Se “Turandot” può essere considerata “l’ultima grande opera italiana, questa definizione non tiene conto del fatto che gran parte di essa non è italiana”, scrive Christopher Browner, caporedattore delle pubblicazioni del Metropolitan. “Dall’ambientazione alla trama e, soprattutto, alla maggior parte della musica, Turandot si ispira ad altre culture. Ma non è nemmeno autenticamente cinese. Una proiezione occidentale dell’Oriente, piena di contraddizioni, distorsioni e stereotipi razziali”, sottolinea Brower.

Così cambia la percezione di una delle opere più conosciute e popolari del XX secolo, a quasi cento anni dalla sua prima rappresentazione nel 1926, a pochi mesi dalla morte del compositore. Una scelta secondo il Met “essenziale”, che sembra riprendere le fila della recente polemica avvenuta in Inghilterra su un altro capolavoro operistico di Puccini, “Madama Butterfly”. La Royal Opera House di Londra nel 2022 aveva modificato la sua messa in scena dell’opera in modo che fosse “più in linea con il contesto storico della storia”, che si svolge a Nagasaki, Giappone, all’inizio del XX secolo. All’epoca, Olivier Mears, direttore della Royal Opera House, sottolineò che l’opera, pur essendo un “capolavoro”, era anche “un prodotto del suo tempo”.

Maria Sole Betti

Classe '96, cresciuta tra l'Adriatico e l'ombra della Madonnina. Da sempre attratta dalle storie degli altri, mi sono laureata in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano. Dopo un Erasmus a Barcellona e una magistrale in Istituzioni e tutela dei diritti, l'approdo a Roma per fare del sogno del giornalismo una professione. Curiosità e chiacchere guidano la mia vita, ma, del resto, ho la luna in Ariete.