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Warnergate, la guerra per l’intrattenimento che fa gola alla Casa Bianca

di Alessio Sebastiano Corsaro16 Dicembre 2025
16 Dicembre 2025
Warner

Ted Sarandos, co-amministratore di Netflix, Donald Trump, presidente Usa, e David Ellison, patron di Paramount

Il 5 dicembre 2025 potrebbe essere ricordato come il giorno zero del nuovo mondo dei media e dell’intrattenimento globale. La data in cui Netflix, il Golia dello streaming, ha messo le mani su “Warner Bros. Discovery”, grazie a un accordo destinato a ridisegnare Hollywood. Il patto ha generato l’ira di un Davide del settore come Paramount, multinazionale guidata da David Ellison, figlio del patron di Oracle. Si tratta di una delle famiglie simbolo dell’oligopolio delle Big Tech, determinata a far saltare l’accordo Netflix-Warner Bros grazie a un alleato d’eccezione: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Una sfida che arriva fino alla Casa Bianca e che coinvolge in prima persona uno dei leader politici più potenti al mondo. 

Una sfida a colpi di miliardi

A fine ottobre, Warner annuncia una revisione strategica delle proprie attività dopo aver ricevuto “interesse da più parti”. L’obiettivo è chiaro: ripianare un debito da 33 miliardi di dollari. Nella partita entrano subito Netflix, Comcast e Paramount. Gli analisti danno in vantaggio la società di Ellison, ma il 5 dicembre la Grande N spiazza tutti, annunciando l’acquisizione degli studi di produzione, del catalogo e delle attività streaming di WB, inclusa HBO, per 83 miliardi di dollari tra azioni e contanti.

Tre giorni dopo, l’8 dicembre, Paramount risponde al colpo e lancia un’offerta ostile, mettendo sul piatto 108 miliardi cash per l’intero pacchetto Warner Bros, che al suo interno ha anche la CNN. Mossa che fa gli interessi di Trump che da tempo ripete che “CNN deve essere venduta”. Con CBS già controllata dagli Ellison, The Donald si assicurerebbe un secondo canale televisivo alleato. Guardacaso proprio quello che ha sempre definito produttore di “fake news”.

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Le app di Netflix, Warner Bros e Paramount | Foto Ansa

Rischio di concentrazione o conflitto d’interessi presidenziale?

“La scelta di Warner”, afferma Filippo Passeri, responsabile editoriale di Starting Finance, “è ricaduta su Netflix perché la Grande N ha incluso nella sua offerta una penale finanziaria, che permetterebbe a WB di incassare sei miliardi di dollari nel caso in cui l’Antitrust americana dovesse bocciare la fusione”. Sul fronte della concentrazione di mercato, Netflix potrebbe avere argomenti da giocarsi davanti alla Federal Trade Commission: “Nonostante i 300 milioni di abbonati, il portale guidato da Sarandos non è la prima realtà di streaming negli Usa in termini di traffico generale. Quel primato spetta a YouTube”, evidenzia Passeri.

Dal punto di vista finanziario, invece, “l’offerta di Paramount sarebbe meno problematica, vista la sua capitalizzazione da 15 miliardi contro i 436 di Netflix”. Ma è proprio la proposta Ellison a nascondere l’elefante nella stanza. Un conflitto d’interessi che coinvolge direttamente Trump. L’offerta è infatti finanziata da Affinity Partners, società d’investimento del genero del presidente, Jared Kushner, insieme ai fondi sovrani di Arabia Saudita, Abu Dhabi e Qatar, oltre che dalla Redbird Capital.

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Jared Kushner, genero di Donald Trump e patron del fondo d’investimento Affinity Partners

La pubblicità è la vera regina dello streaming

Ma quanto vale il bottino di questa guerra? Secondo il Global Entertainment & Media Outlook 2025-2029 di PwC, nel 2024 i ricavi del settore sono aumentati del 5,5%, passando dai 2.800 miliardi del 2023 a 2.900. Stando alle stime del dossier, il guadagno è destinato a crescere a un tasso annuo del 3,7%, fino a raggiungere i 3.500 miliardi nel 2029. Cifre da capogiro per un settore apparentemente in continua crescita, sul cui sviluppo peseranno però i possibili cambiamenti normativi, l’influenza dell’intelligenza artificiale e la pubblicità, principale fonte di entrate nel campo dell’intrattenimento e dei media.

I player che controllano l’intrattenimento e i media a livello globale

Per compensare l’appiattimento dei margini, alcuni dei principali player globali dello streaming, tra cui Netflix, hanno sistematicamente aumentato i prezzi degli abbonamenti, riducendo la convenienza rispetto alle pay-tv tradizionali, e si sono coalizzati attorno a piani con pubblicità.

Il confronto tra i ricavi delle televisioni tradizionali e gli Over The Top dello streaming

Trump vs Obama: lo scontro inedito per il controllo dei media

Le cifre non bastano a spiegare l’intervento di Trump, che poche ore prima della contromossa Paramount aveva dichiarato: “Sarò coinvolto personalmente nella decisione dell’Antitrust”. In gioco c’è uno scontro politico e culturale tra democratici e repubblicani. “Gli influencer della galassia MAGA riconducono Netflix agli Obama”, spiega Giampiero Gramaglia, ex direttore dell’Ansa. Il motivo? “Nel 2018 il colosso dello streaming ha stipulato un contratto multimilionario con Higher Ground, società di produzione fondata dall’ex presidente Usa e dalla moglie Michelle”.

Non solo. Ted Sarandos, amministratore delegato di Netflix, è un finanziatore del Partito Democratico, mentre la sua compagna, Nicole Avant, è stata ambasciatrice alle Bahamas durante la prima presidenza Obama. Elementi che per l’attivista MAGA Jack Posobiec, proverebbero il tentativo degli Obama di “controllare i media”. Uno scenario che Trump vorrebbe scongiurare a tutti i costi. “Soprattutto in vista delle elezioni di midterm nel 2026”, osserva Gramaglia. 

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Il presidente Usa, Donald Trump, e l’ex inquilino della Casa Bianca, Barack Obama

Il controllo dell’immaginario pop e l’indebolimento della democrazia

Chi si aggiudicherà Warner Bros controllerà alcuni dei franchise più iconici della cultura pop contemporanea. Da “Harry Potter” ai supereroi della DC Comics, fino alle serie HBO come “Il Trono di Spade” e “I Soprano”. Prodotti che Netflix vuole acquistare dopo aver bruciato i suoi asset più redditizi, “Squid Game” e “Stranger Things”, ormai al capolinea. Paramount, dal canto suo, ha una chance per tentare di competere con i giganti del settore. Ma è proprio lo sfruttamento di questi contenuti a gettare un’ombra inquietante sulla democrazia.

La sede ufficiale di Netflix a Los Angeles | Foto Ansa

Giovanni Boccia Artieri, ordinario di Sociologia all’Università di Urbino, non usa mezzi termini: “Un’operazione di questa scala definisce il controllo di una parte enorme dell’immaginario globale: film, serie, news, narrazioni politiche”. Il rischio è quello di un appiattimento pilotato: “Quando pochi conglomerati controllano la gran parte delle narrazioni audiovisive, si restringe il ventaglio di prospettive accessibili al pubblico e aumenta il rischio di omologazione dei valori. Non significa censura diretta, ma una selezione strutturale”. Insomma, come sostenne già nel 2011 Peter Thiel, numero uno di Palantir, “forse il mondo si può cambiare unilateralmente, senza dover convincere le persone che non saranno mai d’accordo con te, usando la tecnologia”.

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