1989, il Muro caduto e l’abbraccio illusorio Est-Ovest

Inizia oggi una inchiesta a puntate
per ricordare il trentesimo anniversario
della caduta del Muro di Berlino

 

Trent’anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il Muro di Berlino. Sembra impossibile credere che un blocco di cemento, filo spinato e calce correva nel cuore dell’Europa, dividendo una ex Capitale in due e fondando, di fatto, i concetti di Est e Ovest.

Eppure era così: una rappresentazione plastica della Guerra Fredda. Il Muro era stato costruito nel 1961 dalla Germania socialista per fermare l’esodo delle persone dell’Est del Paese, più povero e totalitario visto il fallimentare modello dell’economia pianificata e il regime filo-sovietico, verso l’Ovest, ricco e democratico per via dell’economia di mercato e del modello costituzional-liberale.

Berlino, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, era stata divisa come il resto della Germania tra le potenze vincitrici del conflitto: Urss, Usa, Francia e Gran Bretagna.

Oltrepassare il Muro era severamente vietato, se non per motivi straordinari, e chiunque lo faceva senza autorizzazione poteva anche essere ucciso dai soldati di frontiera. Circa 200 berlinesi dell’Est, nel tentativo di scavalcarlo, persero la vita, mentre in tanti si ingegnarono per provare a eludere i controlli. Due italiani, come racconta la celebre miniserie italiana Il tunnel della libertà, riuscirono addirittura a costruire una galleria di 120 metri sotto il Muro, salvando 29 vite.

Soldati alla frontiera tra Berlino Est e Berlino Ovest

Da diversi mesi in quel 1989 le proteste nella Germania orientale montavano. L’economia era stagnante, visto il crescente debito estero che il regime aveva accumulato per importare componenti, tecnologie e materie prime e tentare di colmare, così, il gap con la Repubblica federale, che continuava a crescere a livelli sostenuti.

In un mondo in cui il sistema mediatico dell’Ovest si faceva sempre più pervasivo, inoltre, l’assenza di diritti fondamentali (come la libertà di parola e il diritto di voto) era diventata insostenibile. A ottobre erano scese in piazza 250mila persone a Lipsia, portando il leader del governo, Erich Honecker, a dimettersi.

I suoi successori, spaventati dalle agitazioni, organizzarono una conferenza stampa nel tardo pomeriggio del 9 novembre, per annunciare alcune riforme liberali. Il portavoce del governo, Günter Schabowski, le stava elencando ai giornalisti. Poi, all’improvviso, annunciò: «Ah… oggi abbiamo deciso su un nuovo regolamento che rende possibile per ogni cittadino della Repubblica Democratica Tedesca di uscire attraverso i posti di blocco».

I corrispondenti di mezzo mondo iniziarono allora a tartassare il funzionario di domande. Il nuovo regolamento si applicava a Berlino? Da quando? Schabowski, agitato, mentre cercava di leggere meglio i documenti che aveva appresso, si lasciò scappare: «Che io sappia… dovrebbe avere effetto da ora». Il suo tentennamento fu decisivo.

Quando la notizia arrivò ai telegiornali della sera, migliaia di berlinesi dell’Est si riversarono in strada, verso i varchi di frontiera del Muro. Fu allora che Harald Jäger se li vide tutti davanti. Era una guardia di frontiera e gli venne ordinato di rimandare tutti indietro, ma la gente premeva e gli stessi comandanti erano nel panico, mentre il governo della Repubblica democratica si radunava per prendere una decisione. Non arrivavano nuove disposizioni e la folla percepì l’opportunità, lanciandosi verso il Muro. Alle 23.30 la situazione era fuori controllo e di propria iniziativa Jäger diede ordine ai suoi uomini di aprire i varchi tra Berlino Est e Berlino Ovest.

Per questa scelta rischiava grosso: si sentì paralizzato, pianse. Rischiava grosso per la sua scelta. Poi, però, vide i tedeschi dell’Ovest accogliere i loro concittadini con bottiglie di champagne, fiori e cartelloni di benvenuto, mentre diverse persone salivano e ballavano sul Muro. E allora le lacrime di frustrazione divennero lacrime di gioia.

“Harald, credo che per la Germania dell’Est sia finita” gli disse un collega. In quel momento già intuiva che si trattava di un evento storico. Ma non poteva immaginare che sarebbe diventato il simbolo della fine di un’epoca.

Dopo l’apertura di quella prima breccia e il successivo smantellamento del confine tra le due parti della città, infatti, nel giro di due anni tutto sarebbe cambiato. I regimi sovietici dell’Europa orientale e con loro la stessa Unione Sovietica improvvisamente crollavano. Finiva la Guerra Fredda: sul modello dell’Est, che Karl Marx avrebbe chiamato “comunismo rozzo”, si imponeva il modello dell’Ovest, quella “democrazia liberale” che il filosofo americano Francis Fukuyama considerava “il treno della Storia”.

Il famoso murales del bacio tra Breznev e Honecker sul Muro di Berlino – Foto di Livio Senigallesi

Tante iniziative e manifestazioni culturali celebreranno in tutto il mondo quell’incredibile notte berlinese. Ma, al di là della ricorrenza, è importante ricordare quell’evento per diversi motivi. Prima di tutto, forse, per smentire le letture enfatiche della Storia. Ciò che accadde segnò la fine del bipolarismo tra Urss e Stati Uniti, ma non la totale democratizzazione nell’Est del mondo. Ci fu una lunga euforia, sull’onda del liberal-liberismo (con la sua celebrazione tout court della globalizzazione), che nascose quanto in quel modello non funzionava.

E oggi l’esplosione delle disuguaglianze lo dimostra, mentre quell’Est che sembrava ridimensionato torna a gridare per l’egemonia mondiale contro l’Ovest: dalle democrazie autoritarie di Putin e Erdogan, all’oligarchia contemporaneamente comunista e ultra-capitalista della Cina, passando per le democrazie “illiberali” di Polonia e Ungheria.

Tutto questo mentre l’Occidente vive un difficile momento fatto di contraddizioni, tra un’America isolazionista e un’Europa in cui dilaga il nazionalismo. Quell’unificazione della Germania che si avviò dopo la caduta del Muro, tanto glorificata come modello anche per l’Italia, mostra oggi tutti i suoi limiti. Per sei tedeschi dell’Est su dieci il progetto di integrazione tra le ex Repubbliche è fallito. Culturalmente meno aperto e con il 38% di disoccupati in più rispetto all’Ovest, l’Est del paese è oggi il teatro di chi si sente svantaggiato: come abitante di città con meno opportunità e come tedesco rispetto agli immigrati.

Un mix esplosivo che diventa terreno fertile per la propaganda e la violenza dell’estrema destra (dal partito “istituzionale” Afd, che ha intercettato il disagio in Sassonia e in Brandeburgo, ai terroristi neonazisti, come l’attentatore che lo scorso 9 ottobre ha sparato di fronte alla sinagoga di Halle).

E allora sembra evidente che la caduta del Muro non ha risolto tutti i problemi. Le crepe tra Est e Ovest sono tutt’altro che sanate e il mondo deve ancora imparare a superare le proprie divisioni.