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HomeSport Nepi (Sport e Salute): “Più servizi e Ia protagonista: vi spiego gli stadi del futuro”

“Lo stadio deve vivere
sette giorni su sette
Basta cattedrali nel deserto”

Diego Nepi, ad di Sport e Salute

“Non bisogna perdere altro tempo”

di Pietro Bazzicalupi02 Ottobre 2025
02 Ottobre 2025

L'amministratore delegato di Sport e Salute Diego Nepi Molineris | Foto Ansa

Diego Nepi Molineris, amministratore delegato di Sport e Salute, parla a Lumsanews dello stato attuale degli stadi italiani e le prospettive future in vista dell’Europeo 2032: dall’obsolescenza degli impianti alla necessità di una nuova visione urbanistica, economica e digitale.

Nepi, qual è la situazione degli stadi italiani?

“Oggi in Italia la maggior parte degli stadi ha 60 anni. Sono nati intorno al ‘70, ristrutturati per i Mondiali del ‘90, ma già nascevano con delle logiche vecchie”.

Negli ultimi 10 anni è cambiata la filosofia intorno al concetto di stadio. In cosa consiste questa rivoluzione e perché gran parte dei club italiani premono per avere uno stadio di proprietà?

“La visione dei nuovi stadi deve essere conforme allo sviluppo urbano delle varie città, in funzione della capienza effettiva, e in funzione della valorizzazione del cosiddetto ‘match day’. Si tratta di portare attività e ricavi, servizi, promozione e comunicazione durante le partite. Gli impianti  dovrebbero vivere sette giorni su sette e poter creare valore economico per il territorio, l’investitore, il promotore e il gestore dello stadio”.

Quali sono gli scenari futuri?

“Bisogna guardare a quello che succederà a questo sport nei prossimi 20 anni. In futuro il calcio sarà sempre più on demand digitale. Senza dimenticare il coinvolgimento dell’Intelligenza artificiale e il bisogno, sempre maggiore, di dati”. 

I tifosi come vivranno la partita?

“Conterà soprattutto l’experience. Bisogna fare in modo che i tifosi si sentano protagonisti all’interno di questo contesto, che vivano la loro giornata anche grazie al cellulare e altri dispositivi elettronici”. 

Un cambio di prospettiva che riguarda anche la costruzione degli impianti.

La visione, dal punto di vista architettonico e progettuale, deve essere finalizzata non solo a vedere il gioco, ma anche a sentirlo. Chi sta all’interno di un di un impianto vivrà un’esperienza totalmente diversa, non più analogica ma digitale.

Come bisogna muoversi per realizzare gli impianti? 

“Stiamo ripensando questo tipo di concetto, cercando di trovare chi investe in questi progetti. Parliamo delle società di Serie A, di Serie B e di Lega Pro, con una riclassificazione degli stadi in funzione dei loro territori. Non più capitali del deserto, ma impianti effettivamente funzionali all’altezza di un campionato europeo. L’Italia era la prima lega in Europa fino a otto anni fa e oggi si ritrova al quarto, forse quinto posto”.

In che modo gli stadi di proprietà creano ricchezza?

“I club con uno stadio di proprietà non guadagnano più solo attraverso i ricavi dai diritti televisivi, ma anche tramite la vendita dei biglietti, il merchandising, i servizi di food & beverage. Tutti aspetti che legano i tifosi al brand della società”.

Per quanto riguarda la realizzazione delle infrastrutture e dei business correlati all’impianto, chi è che paga effettivamente?

“Le grandi infrastrutture, come gli stadi, hanno una funzione privatistica per la società sportiva, ma hanno anche una funzione pubblicistica per la città. In questo senso, sono necessari trasporti efficienti, oltre ai parcheggi. C’è bisogno di contestualizzare lo stadio all’interno dell’area dove si costruisce. Significa puntare sulle opere di urbanizzazione. Quindi il privato comunque opererà anche in funzione di investimenti che servono a migliorare tutto quello che è intorno allo stadio”.

Sul piano degli investimenti, l’ago della bilancia pende più dalla parte del pubblico o del privato?

“Ci deve essere una grande sinergia fra il pubblico e chi investe, in modo che lo stadio abbia tutti i servizi annessi e connessi. Ormai siamo abituati a livello internazionale di vedere degli stadi che si riempiono e si svuotano in cinque minuti, con metropolitane e con mezzi pubblici straordinari. Non c’è più una città che si blocca in funzione di una partita”.

Siamo indietro su questo fronte?

“Da questo punto di vista abbiamo moltissimo da fare. Il calcio è un’industria importante del nostro Paese, fa parte del nostro dna.

Dobbiamo affrontare questi problemi, investirci, capire qual è il ritorno economico. Una parte fondamentale sarà quella immobiliare, che deve essere gestita non più in un contesto dilettantistico, ma attraverso professionalità e manager in grado di sviluppare e valorizzare ogni tipo di investimento”.

Questo si traduce in un beneficio per il Comune di riferimento?

“La parte pubblica deve beneficerà dei vantaggi, perché un evento sportivo crea valore promozione e Pil per la città, oltre a nuovi turisti. Tutto quello che ne deriva, quindi, è un valore circolare per tutte le parti in gioco”.

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