Marco Vannucci, ex consigliere della Corte di Cassazione, in un’intervista a Lumsanews distingue tra processo dibattimentale e rito alternativo. Sottolinea, inoltre, che la causa più frequente di errore giudiziario è l’uso di prove ‘morbide’ come le testimonianze, facilmente influenzabili, mentre le prove materiali sono più solide.
Quanto è difficile per un giudice restare imparziale e non farsi condizionare dalle indagini preliminari?
“Occorre fare una distinzione. Se il processo si svolge in forma dibattimentale, io inserisco nel fascicolo del giudice solo pochi atti del pubblico ministero. Le prove sono acquisite in contraddittorio fra le parti. Posso usare le dichiarazioni rese in precedenza solo per fare contestazioni ai testimoni. Se invece l’imputato sceglie un rito alternativo, il giudice decide sulla base dell’intero fascicolo del pubblico ministero, potendo utilizzare tutti gli atti che non sono espressamente vietati dalla legge”.
Come si bilanciano le prove solide, ad esempio il Dna, con quelle morbide, ad esempio una testimonianza? Quale delle due categorie è causa scatenante di errore?
“Una causa che spesso determinal’errore giudiziario è da ricercare nell’utilizzazione delle prove ‘morbide’, come le testimonianze. Le prove materiali, invece, hanno una valenza probatoria forte perché consentono di accertare se l’imputato abbia lasciato queste tracce. Più delicata la valutazione del contenuto delle dichiarazioni rese da testimoni che possono essere influenzate dal tempo, dal luogo in cui si sono svolti i fatti, da possibili intimidazioni da terzi”.
Come si valuta l’affidabilità delle testimonianze, degli informatori di polizia e collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni possono essere un potente veicolo di errore giudiziario?
“Per legge non si possono utilizzare le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da informatori se l’ufficiale non è in grado di indicare la fonte. Per i collaboratori di giustizia, la loro attendibilità è valutata con criteri rigorosi, fissati da leggi speciali. Certo, l’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo, ma l’esperienza pregressa nella valutazione di attendibilità, intrinseca ed estrinseca, delle dichiarazioni rese dai collaboratori impone ai giudici di merito una speciale attenzione”.
L’eccessivo carico di lavoro e la fretta possano rappresentare un fattore di rischio oggettivo nella valutazione accurata delle prove?
“Il rischio c’è, anche a causa dei carichi di lavoro. Tuttavia, escludo che l’affaticamento l’affaticamente del giudice possa condizionare in modo negativo la valutazione delle prove a sfavore dell’imputato e causare un errore giudiziario. Nei processi con imputati detenuti io ripongo una particolare attenzione nella valutazione della prova, proprio in considerazione della privazione della libertà personale”.
Quali meccanismi interni, oltre alle impugnazioni, esistono per spingere il sistema alla riflessione sulla propria fallibilità?
“Il sistema delle impugnazioni nel processo penale presuppone la mia fallibilità nel dare ‘a ciascuno il suo’. Per questo partecipo regolarmente ai numerosi corsi di aggiornamento della Scuola Superiore della Magistratura. Ciò significa che mi metto continuamente in discussione per affinare le mie conoscenze e ridurre il più possibile i miei errori di giudizio”.
Qual è la differenza tra la verità processuale raggiunta in aula e la sua percezione, più intima, di quella che potrebbe essere stata la verità storica dei fatti?
“Si, la mia tensione è raggiungere un equilibrio tra diritto e giustizia. Non sempre una decisione conforme al diritto è anche conforme alla giustizia. In questi casi, la Costituzione e il mio giuramento mi obbligano a adottare la decisione conforme a diritto, anche se mi rendo conto che non coglie appieno la verità e la giustizia del caso”.