L’analfabetismo funzionale minaccia il mercato del lavoro. Le scarse competenze mettono sotto scacco la produttività, come sottolinea a Lumsanews Michele Pellizzari, docente di Economia del lavoro all’Università di Ginevra.
Quali sono le ripercussioni dell’analfabetismo funzionale sul mercato del lavoro italiano?
“Collegherei i bassi livelli di competenze a questioni di produttività. Quindi un mercato del lavoro caratterizzato da persone che hanno scarsa produttività può generare tassi di occupazione più bassi. Lavoratori meno produttivi possono avere più difficoltà a trovare un impiego o a ritrovarlo quando lo perdono. Al contempo i lavoratori meno produttivi tendono a essere retribuiti con salari più modesti”.
In che modo la difficoltà di comprensione di testi può influenzare la produttività sul lavoro?
“Immaginiamo un lavoro come un insieme di operazioni che svolgiamo e molte di queste richiedono competenze trasversali, quindi, la capacità di leggere, di contare, di comprendere il testo che leggiamo e, se le nostre competenze in queste aree sono limitate, di conseguenza la nostra capacità di svolgere quelle funzioni in modo adeguato sarà limitata”.
A causa di questo fenomeno esiste concretamente il rischio di essere sostituiti?
“Sicuramente il fatto che alcuni lavoratori abbiano competenze poco sviluppate può generare l’incentivo da parte delle imprese a investire di più nelle tecnologie che possono sostituirli. Più le competenze sono limitate, più è facile sostituirli con macchine. Soprattutto in un momento in cui l’intelligenza artificiale sembra essere in grado di acquisire rapidamente molte delle competenze umane almeno nelle aree di competenze di base”.
Secondo lei, quali sono le ragioni di fondo del fenomeno?
“Io credo che il problema principale del sistema educativo o dei risultati educativi in Italia sia il basso numero di laureati. Io mi concentrerei nel creare le condizioni affinché più ragazzi si iscrivano all’università e ottengano una formazione terziaria, magari di tipo professionalizzante, come quella offerta dagli Istituti tecnici superiori, ma anche una tradizionale accademica”.
In che modo l’intelligenza artificiale influisce sulle scelte universitarie?
“Le prime indicazioni che abbiamo è che l’intelligenza artificiale genera un aumento della domanda di laureati in materie umanistiche più che scientifiche. Quindi credo che sarà sempre più importante acquisire competenze generiche perché poi le competenze specifiche che sviluppiamo per un particolare tipo di impiego potrebbero variare”.
In che modo si possono incentivare i giovani a prendere una laurea?
“Io credo che ci sia un grande lavoro di orientamento da fare. Dalla scelta della scuola superiore, perché ci sono alcuni percorsi che poi rendono più difficile proseguire gli studi all’università. Ma la stessa scuola superiore deve incoraggiare i ragazzi che non considerano il percorso terziario come un’opzione. Soprattutto quei giovani che vengono da famiglie con genitori meno istruiti, genitori che magari non hanno istruzione terziaria, che tendono a non considerare l’istruzione terziaria come un’opzione percorribile. E insieme a questo introdurre schemi che permettano ai ragazzi di sostenersi durante gli anni di studio universitario”.


