ROMA – La Germania ha consegnato lunedì 1 dicembre alla Corte penale internazionale Khaled al Hisri, meglio conosciuto come Al Buti. Un nome che, per le cancellerie europee, pesa tanto quanto quello del suo superiore diretto: Almasri. Berlino ha scelto di cooperare pienamente con l’Aia. Una linea che stride apertamente con quella tenuta dal governo Meloni nel caso Almasri. E che oggi rischia di riaccendere lo scontro politico e diplomatico sulla gestione delle relazioni con la Libia.
Chi è Al Buti
Al Buti è molto di più di un miliziano. Alto ufficiale della famigerata milizia Rada attiva a Tripoli, è considerato il braccio destro e l’uomo di fiducia di Almasri. Secondo la Corte internazionale, avrebbe svolto un ruolo di comando in una lunga scia di violenze nella prigione di Mitiga, tra il 2015 e il 2020: torture sistematiche, violenze sessuali, omicidi, persecuzioni. Per i magistrati dell’Aia si tratta di crimini di guerra e contro l’umanità, e il suo nome era stato inserito nella lista dei presunti criminali libici già a partire dal 2018.
La consegna del generale libico alla Cpi
Lo scorso 17 luglio l’arresto all’aeroporto di Berlino-Brandeburgo. Da quel momento Al Buti resta sotto custodia tedesca, fino alla consegna formale avvenuta ieri. Una procedura lineare, nel pieno rispetto delle richieste della Corte internazionale. Ed è proprio questa linearità – quasi scontata altrove in Europa – a far risaltare il precedente italiano.
Le contraddizioni del governo Meloni su Almasri
Dopo l’arresto di Almasri a Torino il 19 gennaio, il governo Meloni ha infatti deciso di trasferirlo direttamente in Libia con un volo di Stato. Una scelta giustificata con almeno tre versioni diverse in pochi giorni: prima i nodi procedurali, poi la sicurezza nazionale, infine una richiesta di estradizione da parte di Tripoli. Sottotraccia, la ragion di Stato. Mai davvero dichiarata, ma sempre evocata.
L’Aia reclama ancora la consegna di Almasri
La consegna di Al Buti rimette ora L’Italia al centro dell’attenzione internazionale. Perché, nonostante l’arresto di Almasri in Libia a novembre, il caso non è chiuso. La Corte penale internazionale continua a reclamarne la consegna, giudicando insufficiente la detenzione nelle carceri libiche. E la scelta tedesca rischia di trasformarsi nel termine di paragone più scomodo per Roma.


