Il giornalista Marco Franzelli | Foto Lumsa

"Un esempio per chi l'ha conosciuto o visto giocare"Franzelli (Rai) ricorda Riva

Lo scudetto, il carattere introverso Resterà per sempre Rombo di Tuono

ROMA – La scomparsa di Gigi Riva lascia un vuoto incolmabile nel mondo del calcio. Sempre legato al Cagliari, squadra con cui ha vinto lo scudetto nel 1970, celebre è il suo soprannome ‘Rombo di Tuono’, coniato da Gianni Brera. A Lumsanews il ricordo di Marco Franzelli, giornalista Rai e telecronista sportivo.

Cosa ha rappresentato per il calcio Gigi Riva?

“Per il calcio Gigi Riva ha rappresentato una eccezionalità. Nato a Leggiuno, vicino Varese, sul lago Maggiore, si è poi trasferito in Sardegna dopo la morte dei genitori: il padre, perso quando aveva nove anni, per un incidente sul lavoro e la mamma quando ne aveva 16, per una malattia. Cresciuto in collegio, seguito dalla sorella Fausta, si è trasferito in Sardegna dove non voleva andare: quando sbarcò a Cagliari disse: ‘Io qui resto 24 ore e poi scappo’. Si portava dietro questo carico di dolore, sapendo però di avere una sua forza nel calcio. E in Sardegna ha trovato l’amore del pubblico, della gente, in una Sardegna degli anni ‘60 molto diversa dalla Sardegna che conosciamo oggi. Ha ripagato tutto questo amore ricevuto in due modi: vincendo uno scudetto con il Cagliari e rimanendo poi in Sardegna per tutta la vita, senza mai tradire quel patto di fiducia che scattò subito dopo il suo diffidente arrivo. È rimasto sardo fino in fondo, rifiutando delle offerte molto alte: dall’Inter di Moratti alla Juventus di Agnelli. Cagliari era diventata la sua città e con la Sardegna ha creato questo rapporto così forte che non ha mai voluto tradire”. 

Lei ha mai conosciuto il campione?

“Sì, l’ho conosciuto nei primi anni ‘90. Ovviamente, come tutti quelli della mia generazione, mi svegliai per vedere Italia-Germania (4-3) e poi per seguire la finale del Mondiale del 1970. Avevo 10 anni. E tutti quelli che amavano il calcio da bambini, in quegli anni lì si identificavano in Riva, perché era quello che faceva dei gol straordinari, di acrobazia, con il suo sinistro. Travolgeva da solo una difesa avversaria. L’ho vissuto come tanti miei coetanei, che sognavano, nelle partitelle a scuola, di indossare la maglia numero 11. Non 9, non 10, ma 11. L’ho incontrato quando è stato un commentatore delle partite di calcio per la Rai: era la cosiddetta ‘seconda voce’. Commentava queste partite con lo stesso garbo, con lo stesso rispetto e con la stessa capacità tecnica e di analisi. E poi l’ho frequentato quando è diventato team manager, dirigente accompagnatore prima della nazionale di Arrigo Sacchi e poi della Nazionale di Marcello Lippi, quella che vinse il mondiale nel 2006. Riva c’era sempre, considerava i giocatori come dei figli da proteggere, anche dai giornalisti”.  

Un fuoriclasse in campo, ma un uomo molto riservato nella vita di tutti i giorni

“La timidezza lo faceva apparire distante. Era un uomo introverso ma molto gentile, tanto era spavaldo e aggressivo in campo – anche se erano più i colpi che prendeva di quelli che dava. Per due volte gli hanno spezzato una gamba: nel 1967 quella sinistra, poi nel 1970 la destra. Due infortuni che in altri casi avrebbero portato alla fine della carriera. Quel dolore che si portava dietro dalla morte prematura dei genitori è una goccia che ha scavato nel suo animo e già a 30 anni ha cominciato ad avvertire i segni della depressione, che poi si è manifestata in forma più violenta in età più avanzata. Non c’era in questa ricerca di solitudine, di distanza, nulla di presuntuoso o divistico: la ricerca di solitudine era in fondo un segno di fragilità. Quest’uomo, che era stato fortissimo, che aveva un fisico ammirato da tutti, che gli aveva permesso di compiere imprese calcistiche straordinarie, si era indebolito. Non amava guardarsi e farsi guardare. Tant’è che le apparizioni pubbliche dopo il compleanno dei 60 anni sono state pochissime: è apparso in un documentario molto bello del regista Riccardo Milani e poi quando ha ricevuto il collare d’oro, che è la massima onorificenza del Coni, nello stadio di Cagliari. Mi auguro che lo stadio di Cagliari, che dovrebbe essere costruito e completato, porti il nome di Gigi Riva”.  

Lascerà una grande eredità, e resterà ‘Rombo di Tuono’ per tutti

“Questo soprannome, Rombo di Tuono, in qualche modo lo lega alla Sardegna: è stato coniato da un altro lombardo, Gianni Brera. Brera creò questo soprannome leggendo un libro di Grazia Deledda, sarda anche lei, che vinse il premio Nobel per la Letteratura nel 1926. Da uno dei suoi libri prese questa frase e vedendo Riva glielo diede. L’eredità che lascia? Certamente resterà un esempio per chi l’ha conosciuto e un esempio per chi l’ha visto giocare”.

 

Giulia Chiara Cortese

Cresciuta tra il Vesuvio e il mare, ora con il cuore diviso tra Napoli e Roma. Sono laureata in Lettere moderne alla Sapienza con una tesi in Filologia della Letteratura italiana. Inseguo da sempre il sogno di diventare una giornalista.