HomeEsteri “Ahmadinejad arrestato” il giallo sull’ex Presidente che incendia l’Iran

"Ahmadinejad arrestato"
il giallo sull'ex Presidente
che incendia l'Iran

Le proteste di matrice socio economica

alimentate dalla destra iraniana

di Simone Alliva08 Gennaio 2018
08 Gennaio 2018

Il generale Mohammad Ali Jafari, capo dei Guardiani della Rivoluzione, ha dichiarato “sconfitta la sedizione” dopo dieci giorni di proteste popolari. Il bilancio degli scontri e delle repressioni in Iran è, secondo fonti ufficiali, di 21 morti e ottomila persone arrestate, tra le quali 90 studenti. Per il parlamentare riformista Mahmoud Sadeghi molti di loro non sono coinvolti nelle manifestazioni e sono stati fermati «a titolo preventivo».

Nel contempo si apre un giallo sull’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad che, secondo il quotidiano panarabo Al-Quds al- Arabi, sarebbe stato fermato e posto agli arresti domiciliari per “incitamento alla rivolta”.  Sul fatto che ci fosse proprio lui dietro alle prime manifestazioni di piazza scoppiate lo scorso 28 dicembre nella seconda città dell’Iran, Mashhad, erano circolate voci fin dall’inizio. Ma non avevano trovato nessuna conferma e di Ahmadinejad si sapeva ufficialmente solo che aveva intenzione di ricandidarsi alla presidenza della Repubblica islamica nel 2020.

Come scrivono gli analisti internazionali, è difficile incanalare il fiume di proteste che ha attraversato 70 cittadine del paese sotto una ragione politica comune. Le proteste in Iran non sono organiche ma un insieme di scintille distinte portate avanti da attori diversi, guidati perlopiù da motivazioni socio-economiche a causa della disoccupazione e del carovita. In un contesto di disoccupazione altissimo le proteste vengono sostenute e probabilmente alimentate a diversa intensità da due leader dell’ampio fronte conservatore, opposto a quello centro-riformista del presidente Rouhani: Ebrahim Raisi e Mahmoud Ahmadinejad. Entrambi avrebbero saldato i loro interessi al malcontento e alle difficoltà economiche di una parte della popolazione.

Ahmadinejad, escluso dalle ultime elezioni dal Consiglio dei Guardiani, continua a mobilitare una rilevante base di consenso nel Paese, forte soprattutto tra i dipendenti pubblici nelle piccole città del nordest e nelle periferie di quelle più grandi. In più, è in guerra con una parte dell’establishment della Repubblica islamica. Ebrahim Raisi è invece presidente di una delle più ricche fondazioni caritatevoli della Repubblica islamica, la Astan Quds Razavi, genero di Ahmad Alamolhoda, e principale rivale di Rouhani alle ultime elezioni presidenziali, nelle quali Mashhad è stata prevedibilmente la sua roccaforte.

In una situazione politica del genere Raisi, che ha perso alle ultime elezioni, imbocca naturalmente la via dell’opposizione politica, Ahmadinejad conduce in realtà due diverse battaglie: una contro il governo Rouhani, l’altra contro una parte dell’establishment della Repubblica islamica, che minaccia di ridimensionarlo—o di perseguirlo penalmente, dopo averlo escluso dalle ultime elezioni.

A parziale conferma della composizione delle proteste dei primi giorni-ovvero appunto le classi lavoratrici delle periferie urbane e i giovani delle aree rurali, danneggiati dalle politiche economiche neoliberali del governo Rouhani-ci sono i diversi “endorsement ” dei manifestanti da parte di vari esponenti conservatori; oppure i diversi tweet e le testimonianze fatte circolare in Iran da attivisti del Movimento Verde del 2009, che hanno preso le distanze dai manifestanti. I moti del 2009 dopo la rielezione sospetta di Ahmadinejad avevano una matrice prettamente politica, e diedero luogo ad un movimento per i diritti civili trainato dalle classi della borghesia di Teheran in particolare. Qui, ad esempio, c’è quello di Sanam Shantyaei, giornalista irano-britannica di France 24.


Come racconta Lorenzo Forlani, corrispondente per l’Agi e analista specializzato in Medio Oriente, il paese che protesta che tende a identificarsi con le fazioni principaliste-conservatrici per un motivo semplice: “Nella Repubblica islamica, tradizionalmente, il fronte “principalista”—che potremmo in qualche modo definire la “destra” iraniana—è conservatore per quel che riguarda le politiche culturali ma inclusivo rispetto alle fasce meno abbienti (nella retorica rivoluzionaria i “mostafazin”: gli oppressi, gli umili) e tendente a politiche assistenzialiste in campo economico. Il fronte riformista (il “centro-sinistra”, soprattutto nella sua attuale variante centrista-pragmatica, impersonata da Rouhani), al contrario, ha sviluppato una postura progressista e più liberale in materia di costumi ma un approccio neoliberista in politica economica, che altrove ascriveremmo a una formazione conservatrice”

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