Motori di ricerca, social network e chat private a partecipazione statale? In Cina si può. Il New York Times affronta il rapporto tra il Dragone e Internet con una inchiesta uscita oggi a firma di Raymond Zhong e dal titolo abbastanza esplicito: “How China Walled Off the Internet”. Grosso modo traducibile in “Come Cina ha murato fuori Internet”. Il pezzo si inserisce in uno speciale del quotidiano newyorkese denominato “China Rules. How China became a superpower”. L’approfondimento giornalistico arriva dopo che Bob Carr, ex ministro degli esteri australiano ed esperto di vicende cinesi, sostiene che l’Occidente non capisce la Cina perché i suoi giornalisti non sanno raccontarla, limitandosi a trasmettere le veline del Governo. Il New York Times, chiamato in causa dall’australiano con un tweet, ha accettato la sfida e montato una grande inchiesta a puntate sulla Cina.
Il pezzo uscito oggi definisce la superpotenza “una zona del cyberspazio che è murata da Facebook e Google, controllata da decine di migliaia di censori e soggetta a severi controlli su come i dati vengono raccolti, archiviati e condivisi”. Ma non per questo isolata. Sono infatti numerose le influenze reciproche tra i colossi americani e cinesi della tecnologia e comunicazione moderna, in un costante collegamento tra la Silicon Valley e il Dragone. Per esempio Facebook e Apple hanno migliorato le loro applicazioni guardando alla cinese WeChat di Tencent. L’originalità cinese ha protetto le sue aziende dallo scandalo Big Data e il governo ha sostenuto l’innovazione digitale. Adesso l’esecutivo ha deciso di influenzare maggiormente gli influencer per antonomasia, cioè le aziende della rete e dei social cinesi. Weibo e Baidu sono avvisati: il sostegno del governo “può essere una benedizione e una maledizione”.
