Dieci anni fa cadeva il regime di Saddam
Ma in Iraq continuano il bagno di sangue e le violenze

Una bandiera sul volto, un cappio al collo e la statua di Saddam Hussein, dittatore iracheno, viene tirata giù. Quest’immagine, vista come il culmine del secondo conflitto del Golfo, è ancora impressa nei nostri occhi. Era il 9 aprile del 2003 quando in Piazza del Paradiso, a Baghdad, cadeva uno dei simboli cardine del regime. Da allora sono passati 10 anni ma non molto è cambiato. In seguito alla destituzione del dittatore ci furono una serie di attacchi da parte dei sunniti, appoggiati da Al-Quaeda, alla comunità sciita, con bombardamenti a santuari e zone periferiche di Baghdad. Un clima di violenza che ancora oggi permane. La cosiddetta Green Zone – la zona verde dove si trovano i principali edifici governativi – è ancora circondata da mura anti esplosione e la veloce ricostruzione, tanto promessa, è ben lontana da essere realizzata. Inoltre, lo scorso 19 marzo in occasione dell’anniversario dell’inizio del conflitto, l’esplosione di 15 autobombe ha provocato ingenti danni con 60 vittime, principalmente appartenenti alla comunità sciita. Un attacco giunto a termine di una serie di azioni che hanno sconvolto il Paese tanto da portare al rinvio delle elezioni provinciali previste per il prossimo 20 aprile.
Nessun passo indietro. Dieci anni fa l’attacco delle truppe di Stati Uniti e Gran Bretagna per detronizzare Saddam fu ordinato in seguito alle presunte prove, poi rivelatesi false, di armi di distruzione di massa in possesso dell’Iraq. Quell’intervento militare è stato più volte difeso dall’allora Primo ministro inglese, Tony Blair, che tornato a parlare dell’argomento non ha fatto passi indietro. In un’intervista alla Bbc, Blair ha dichiarato che senza quell’intervento si sarebbe sviluppata una rivolta ancor più sanguinosa di quella che oggi sta dilaniandola Siria e, nonostante le proteste di tanti movimenti pacifisti, conclude dicendo che «non ci si può pentire per aver rimosso un mostro responsabile di molti massacri».
Dagli USA invece arriva un messaggio del Presidente, Barak Obama, che ha reso omaggio ai 4500 soldati morti dall’inizio del conflitto.

Domenico Cavazzino