Giovanni Paolo II e il colpo decisivo al Muro di Berlino

Prosegue l’ inchiesta a puntate
per ricordare il trentesimo anniversario
della caduta del Muro di Berlino

All’interno dei giardini vaticani, fra le 570 opere lì conservate, c’è anche un pezzo del Muro di Berlino. Non è un caso: “Nella sua caduta, San Giovanni Paolo II ebbe un ruolo fondamentale”, ha ricordato Papa Bergoglio nell’Angelus del 9 novembre 2014. Fu un lungo lavoro di mediazione e diplomazia, quello della Santa Sede, in un periodo chiave della storia europea, fra la fine della guerra fredda, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’unificazione della Germania. E Karol Wojtyła, allora pontefice, giocò un contributo decisivo nell’aprire le crepe della “cortina di ferro”, simboleggiate proprio dalla caduta del Muro.

“Dall’Atlantico agli Urali”

La lotta di Giovanni Paolo II per la fine dei regimi comunisti era figlia della sua idea ampia e unitaria di Europa, la quale – come spesso ripeteva – andava “dall’Atlantico agli Urali”, sotto radici cristiane condivise. Dall’Ovest all’Est, oltre la divisione dualistica capitalismo-comunismo. Il Papa voleva unire quelli che definiva i “due polmoni”: l’Europa occidentale e quella orientale, che conosceva bene in quanto nato e cresciuto in Polonia. “Era la visione di continente unico, ma al tempo stesso duplice”, spiega a LumsaNews Alessandro Giovagnoli, storico e professore ordinario all’Università del Sacro Cuore di Milano. “Karol Wojtyła ha sempre ragionato così, da quando era arcivescovo di Cracovia. Ed è innegabile che ciò sia dipeso anche dalla sua formazione personale: veniva dall’Europa tragica dei lager e dei gulag; ma anche da un’Europa che rinasce, e riscopre l’uomo. Aveva una visione umanistica del mondo”.

Quando Wojtyła fu eletto pontefice, nel 1978, la frattura ideologica fra capitalismo e comunismo era simboleggiata dal Muro di Berlino, che di lì a 11 anni si sarebbe sgretolato. Ma allora nessuno lo immaginava, e in molti concordano che l’inizio del suo lavoro diplomatico per la riunificazione coincise già con il discorso d’insediamento del 22 ottobre. “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo, alla sua salvatrice potestà!”, disse affacciatosi dalla Loggia della Basilica di San Pietro. E poi: “Aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo”. Un riferimento chiaro ai regimi comunisti, rimarcato anche dalla visita nella sua Polonia nel giugno del 1979. Dove dichiarò: “Non vuole forse, Cristo, che questo Papa polacco, slavo, proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa?”.

Wojtyła il mediatore

I sovietici denunciarono presto la figura del Papa come oppositore del regime. Nel 1982 ne scrissero sulla Tass, l’agenzia ufficiale d’informazioni dell’Urss, e su diversi giornali: “L’elezione del cardinale di Cracovia e la sua prima visita in Polonia nel 1979 sono state uno dei principali segnali per le forze controrivoluzionarie. L’agosto polacco del 1980 (dal quale nacque Solidarnosc, il sindacato di Lech Wałęsa considerato il primo tassello fondamentale nella caduta del comunismo, ndr) non sarebbe stato possibile se a Roma non ci fosse stato un papa polacco”, ha ricostruito l’Ansa per i venticinque anni dalla caduta del muro, nel 2014.

“Il ruolo di Wojtyła in quel contesto è stato soprattutto di mediazione”, precisa Giovagnoli. “Le dinamiche che hanno portato alla fine del comunismo sono ampie e Giovanni Paolo II fu importantissimo nel favorirne tanto il processo quanto le modalità pacifiche. Poteva scatenarsi una guerra civile, invece è stato un processo relativamente pacifico. In questo Wojtyła è stato una guida, contro ogni forma di violenza”.

Oltre a frenare gli “impazienti” della caduta del regime che vivevano nell’Est, le cui proteste avrebbero potuto sfociare proprio nella violenza, la Santa Sede allacciò rapporti diplomatici con gli Stati Uniti di Ronald Reagan e la Germania Ovest di Helmut Kohl. Ma Giovanni Paolo II, per quanto oppositore del comunismo, diffidava anche del capitalismo. “Reagan vedeva a Est ‘l’impero del male’ e cercava la guerra. Al contrario, Wojtyła era convinto che il regime si sarebbe sgretolato da sé, con una graduale presa di coscienza della libertà da parte dei suoi abitanti”, sostiene sempre Giovagnoli.

Un punto di svolta, in questo senso, fu l’elezione di Michail Gorbaciov a segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, la più alta carica del Paese, che con le sue politiche di “trasparenza” e “ristrutturazione” diede una spinta “dall’interno” alla dissoluzione pacifica dei regimi dell’Est. Con lui Giovanni Paolo II ebbe un primo colloquio nel dicembre del 1989, appena dopo il crollo del Muro. “I due – ha confidato a La Repubblica Joaquin Navarro-Valls, all’epoca direttore della Sala stampa della Santa Sede – si intesero all’istante. Del resto, negli anni precedenti, avevano condiviso la stessa idea di libertà: personale, prima che politica”.

I dubbi sul futuro dell’Occidente

Giovanni Paolo II si è comunque sempre schermito sul suo ruolo di riunificatore dell’Europa: in un’intervista del 1993 disse che era stato il Cristianesimo e non il Papa ad avere “un ruolo determinante” per la caduta del Muro. E, in ogni caso, rimase perplesso di fronte al nuovo ordine mondiale, che rischiava un appiattimento verso un modello occidentale “comunque lontano dai valori cristiani”, come racconta Giovagnoli. Anzi: da subito denunciò quella che vedeva come una deriva materialista, cosa che avvenne già in un discorso in occasione del Viaggio apostolico Polonia nel 1991.

Ma la caduta del Muro rimarrà comunque un evento storico, dal forte valore simbolico, in quanto era un’icona della divisione fra i due “blocchi”. Che rimarcherà ancora il suo concetto di libertà: “La Porta di Brandeburgo – affermò Giovanni Paolo II nello storico discorso del 1996 in occasione di una Visita pastorale a Berlino – è stata occupata da due dittature tedesche. Ai dittatori nazionalsocialisti serviva da imponente scenario per le parate e le fiaccolate ed è stata murata dai tiranni comunisti. Poiché avevano paura della libertà, gli ideologi trasformarono una porta in un muro. Gli uomini erano divisi tra loro da muri e confini micidiali. E in questa situazione la Porta di Brandeburgo, nel novembre del 1989, è stata testimone del fatto che gli uomini si sono liberati dal giogo dell’oppressione spezzandolo”. Anche grazie alla sua mediazione.