A inquadrare il fenomeno dell’urbex, filtrato dalla lente di un obiettivo che “cattura quei luoghi che trasudano storie ed emozioni, congelandoli nella loro bellezza per l’eternità” è Gianfranco Barollo. Il fotografo urbano, fondatore del sito web Oblivion in the Past, ha raccontato a Lumsanews la sua esperienza come urbexer.
Perché fotografare luoghi abbandonati?
“Nella trascuratezza dell’abbandono l’occhio di un fotografo urbano si incuriosisce. Dove tutto si perde, io lo recupero. Non si tratta solo di “scatti”: è ricerca di quel dettaglio capace di suscitare emozioni. Ogni foto è un frammento d’anima”.
Che cosa l’ha spinta a diventare urbexer?
“La passione per l’esplorazione, il richiamo verso l’ignoto. A cambiare la mia prospettiva sulla città è stato un vecchio manicomio abbandonato. Fino ad allora, i luoghi in disuso erano solo macchie grigie nel paesaggio. Poi ho messo piede lì. Non c’era solo muffa e ragnatele: c’era Storia, con la ‘s’ maiuscola. Da quel giorno sono diventato dipendente dai viaggi nel tempo”.
Quali sono i luoghi più particolari che ha visitato?
“Non esiste un luogo vuoto di emozioni. Ogni struttura ha una sua vibrazione unica. E poi ci sono luoghi che colpiscono per un peso emotivo quasi fisico: i manicomi abbandonati, cattedrali di storie dolorose. L’adrenalina si mescola a rispetto e compassione. Ma ogni rudere ha le sue radici storiche. Dall’eleganza decaduta di ville e palazzi, all’urbex industriale delle grandi fabbriche al silenzio sacro delle chiese abbandonate”.
C’è bisogno di chiedere permessi particolari per fare il fotografo urbex?
“C’è una regola che dovrebbe essere universale: documentare la bellezza del decadimento, lasciando solo impronte. Un luogo abbandonato non deve essere vandalizzato. Ogni posto ha la sua storia, il suo proprietario e la sua legislazione. Anche a me è capitato di essere fermato dalle autorità. Ed è qui che il nostro codice d’onore diventa la difesa migliore. Con educazione e collaborazione spieghiamo le intenzioni. Il fatto che il posto sia aperto e abbandonato gioca a nostro favore. Sono sempre stato rilasciato senza problemi o denunce e ciò dimostra che l’autorità sa distinguere l’esploratore dal vandalo o dal ladro”.
Quale è la pericolosità di questi posti?
“Questi luoghi sono trappole silenziose. Dobbiamo muoverci con la cautela di un chirurgo, prestando attenzione ai particolari come crepe e fessure, avvertimento di cedimento strutturale, ad accumuli e rigonfiamenti di detriti, che indicano un pavimento crollato. La fretta e la distrazione sono i pericoli più grandi”.
Come è accaduto alla ragazza deceduta lo scorso aprile a Roma
“La diffusione sui social ha trasformato l’urbex da hobby a moda. Vediamo gente priva di esperienza, ma chi è alle prime armi non distingue un rischio fatale da un semplice detrito. Questi luoghi non perdonano l’ingenuità. L’urbex richiede rispetto, conoscenza strutturale e cautela assoluta”.
L’urbex è un fenomeno che ha visto un aumento negli ultimi anni oppure una fase di decadenza?
“L’amore per l’esplorazione urbana è cresciuto con i social. Questa visibilità sta diventando però il nostro peggior nemico. L’affollamento attira persone senza rispetto che imbrattano muri, rubano o distruggono oggetti preziosi. Il problema si aggrava con rigattieri e predoni, che usano i video degli urbex per carpire dettagli precisi, trasformando un bel racconto in un catalogo di oggetti da rubare. Fondamentale è non confondere il vandalismo con la presunta espressione artistica. Deturpare architetture storiche non è arte, ma mancanza di rispetto, una firma egoistica che annienta la storia e rompe la magia del luogo. Il nostro compito è documentare e preservare il decadimento, non accelerarlo o modificarlo. Chi imbratta è un ospite che non ha capito nulla dell’etica dell’esplorazione”.