Le donne che fanno tremare il regime in Iran

Sabbia, mare, uomini e donne in costume che prendono il sole insieme sulla spiaggia. È l’immagine storica dell’Iran pre-1979, ovvero prima della rivoluzione guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini che ha imposto il regime islamico nel Paese. Nonostante la monarchia autoritaria dello scià Mohammad Reza Pahlavi, l’Iran aveva vissuto un periodo di riforme e modernizzazione che lo aveva avvicinato all’Occidente. Da quell’anno, dalla creazione della Repubblica islamica e delle Guardie rivoluzionarie, gli iraniani hanno invece avuto a che fare con la rigidità di un regime religioso.
In questi giorni, però, giovani e donne sono scesi in strada per protestare contro la feroce repressione e contro la Guida suprema Ali Khamenei.

L’evento che ha scatenato le manifestazioni è stata la morte in una caserma di Mahsa Amini, 22enne curda arrestata dalla Polizia morale per via dell’hijab – o velo – messo in maniera sbagliata. L’onda di protesta da Teheran si è allargata in decine di città in tutto l’Iran, dove le donne si tagliano i capelli e bruciano gli hijab a volto scoperto. Da due settimane i giovani del Paese non smettono di manifestare malgrado il pugno duro delle forze di polizia, che in circa due settimane hanno a restato più di 1200 persone, tra cui anche decine di giornalisti. E per l’ong Iran Human Rights, i morti sono già più di 150.

Il presidente Ebrahim Raisi ha promesso una repressione spietata, ma per molti, anche fuori dal Paese, la mancanza dei diritti non è più sostenibile. Come per Helia, 28 anni, fuggita da Teheran sei anni fa e oggi in Italia: “Non mi sentivo libera, non mi sentivo più a casa”. Un problema diffuso, perché “non si tratta solo delle donne, ma anche delle persone omosessuali, transgender, della comunità Lgbtq. Vivere ed essere una minoranza in Iran è difficilissimo”, spiega Helia, spinta a fuggire persino dalla famiglia. Anche lei da ragazza è stata fermata per strada dalle donne della Polizia morale, perché indossava male il velo e perché sua sorella, allora di nove anni, non lo portava. Non è stata arrestata, come invece è successo a diverse sue amiche, portate in carcere per qualche ora per la stessa motivazione. Come in fondo è successo a Mahsa.

Se è partito tutto dalla questione del velo, il dissenso contro il regime si è allargato a chi lotta contro la povertà e il disagio sociale nel Paese. Le condizioni economiche dell’Iran sono “stabilmente negative da anni”, racconta Jacopo Scita, esperto di Iran e Policy fellow del think tank Bazaar and Foundation. Tanto che gli eventi attuali non sono una novità. Negli scorsi anni, nel 2017 e nel 2019, sono scoppiate gravi manifestazioni per il caro prezzi, anche in quel caso represse nel sangue.
Le proteste di questi giorni sono però diverse da quelle passate. “Qui la causa principale è l’attacco frontale a un simbolo dei valori delle istituzioni islamiche, ma è sempre la situazione socio-economica gravissima che fa da detonatore”, spiega Lorenzo Zacchi, analista del centro studi Geopolitica.info. Anche perché le sanzioni occidentali, la pandemia e l’inflazione dilagante hanno messo l’Iran in condizioni critiche. “È uno dei Paesi del Medio Oriente con il più alto tasso di scolarizzazione universitaria fra i giovani, che sono tantissimi, ma allo stesso tempo ha uno dei tassi più alti di disoccupazione giovanile”. Tutti fattori potenzialmente incendiari per il Paese.

Le proteste si sono diffuse in decine di città nel Paese

Sono gli stessi giovani che, oltre a protestare, provano a coinvolgere le fasce di popolazioni più grandi e anziane nel dissenso contro le istituzioni religiose. La madre di Helia, per esempio, è diventata molto attiva sui social e, usando una rete Vpn per aggirare il blocco di Internet imposto dal governo, prova a sensibilizzare le persone sulla mancanza di diritti in Iran. “Durante questi anni ha imparato tante cose. Non sapeva delle persone Lgbtq ed è stato difficile per lei accettare alcuni concetti, ma adesso ne parla quanto può”, confessa Helia, che ammette di aver paura per l’incolumità della madre rimasta ancora a Teheran, già minacciata sui social.

Il rapporto tra giovani e adulti è un fattore importante per il futuro della società iraniana e per queste proteste. Ragazzi e ragazze spingono verso una modernizzazione, che invece le vecchie generazioni rigettano. Non è un caso che la nonna di Helia, così come diverse persone della sua età, siano ancora fortemente legate alle tradizioni e alla cultura religiosa della Repubblica islamica. Così come è importante il ruolo della diaspora iraniana. In questi giorni le manifestazioni sotto le ambasciate dell’Iran a Roma, a Londra, a New York sono costanti. Un modo per aiutare “ad amplificare la portata reale di queste proteste” secondo Scita. Lo stesso scopo cercato dalla nazionale di calcio iraniana che ha indossato una giacca nera prima di un’amichevole, a sostegno della lotta in corso nel Paese. Si è poi diffuso il gesto di tagliarsi una ciocca di capelli in segno di lutto e per mostrare solidarietà a Mahsa Amini e alle donne in Iran. Anche attrici, cantanti e altri personaggi famosi, iraniani e non, si sono esposti sui social contro la repressione di Teheran.

In compenso, gli analisti hanno osservato l’immobilismo degli attori regionali e internazionali. Il presidente statunitense Joe Biden ha tenuto un discorso all’Onu appoggiando i manifestanti ma “ha ricordato tantissimo Obama nel 2009, quando appoggiò il Movimento verde facendo solo un paio di dichiarazioni”, sostiene Zacchi. Dagli Usa a offrire il proprio aiuto è stato Elon Musk. Il fondatore di Tesla ha infatti concesso il proprio programma satellitare Starlink per permettere una maggiore diffusione di notizie dall’Iran e per facilitare il coordinamento delle proteste, visto il blackout imposto dal regime iraniano.

In generale nelle capitali straniere ha regnato la cautela. Un atteggiamento così commentato da Scita: “Nella regione c’è un importante trend di dialogo in corso da alcuni mesi/anni. La realtà è che molte di queste dinamiche seguono la realpolitik. A oggi a nessuno conviene abbracciare questi moti di protesta e scaricare la Repubblica islamica”. Per il ricercatore gli altri Paesi del Medio oriente preferiscono l’Iran di oggi “rispetto a una possibile escalation rivoluzionaria dagli effetti sconosciuti”.
Per i tanti ragazzi scesi in strada in Iran e nel mondo l’obiettivo, però, è quello di “cambiare tutto”. Non c’è tempo per piccoli cambiamenti, non bastano. “Vogliamo che l’Iran sia una Repubblica non più islamica”, afferma Helia, perché il regime attuale “in nome della religione” opprime e reprime. E perché “se vuoi andare al mare, in Iran abbiamo una spiaggia per uomini e una spiaggia per le donne, e se si va con papà, mamma e fratelli, non puoi stare insieme. Noi vogliamo andare al mare come famiglia”, chiede Helia. Una cosa normale. Come succedeva prima del 1979.