"Le rivolte potrebbero avereun impatto politicosul presidente iraniano"

Lorenzo Zacchi a Lumsanews "Gli altri attori globali sono cauti"

Sulle proteste in corso in Iran da settimane, è intervenuto Lorenzo Zacchi, Research fellow del Centro Studi Geopolitica.info, dove è coordinatore del desk Medio Oriente e Nord Africa.

Qual è il carattere di queste proteste, rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni?

“Sono il contrario delle altre, sono manifestazioni di massa in cui la causa principale è proprio un attacco frontale al velo, un qualcosa che caratterizza i valori delle istituzioni della Repubblica islamica. Solo dopo è intervenuta la situazione socio-economica che è gravissima e che ha fatto da detonatore. Quello che avevamo sentito negli ultimi anni era l’esatto contrario. Sappiamo che c’è un forte dissenso, abbastanza generalizzato, tra la popolazione iraniana rispetto a determinate restrizioni e storture della Repubblica islamica. Durante le vecchie manifestazioni avevamo già sentito attacchi e slogan contro le istituzioni rivoluzionarie, c’erano anche stati sit-in contro l’obbligo del velo, però le cause erano socio-economiche: le ondate del 2017 e 2019, erano infatti per l’aumento dei carburanti. Nel 2009 c’è stata una dimensione politica, quando il Movimento Verde ha contestato i risultati delle elezioni e i presunti brogli”.

Non si può prevedere, ma potrebbero sfociare in una vera rivoluzione?

“Sono manifestazioni grandi e che stanno durando. Ma per pensare a una transizione di regime mancano ancora troppe cose. L’Iran nel Novecento ha avuto due grosse rivoluzioni: nel 1906 quella costituzionale e soprattutto quella del ‘79. Le varie manifestazioni erano veramente eterogenee ed erano intervenuti degli strati della popolazione che oggi ancora non ci sono o possono esserci. Mi riferisco alla classe dei religiosi, che non interviene perché fa parte dell’attuale potere, e le oligarchie imprenditoriali, che adesso sono molto legate al regime”. 

Quindi quale potrebbe essere un risultato?

“Queste manifestazioni potrebbero avere un impatto più politico, nel senso che il governo di Raisi è stato delegittimato. Al primo appuntamento importante internazionale, all’assemblea dell’Onu, il presidente è arrivato fortemente delegittimato: la sua arringa con la retorica rivoluzionaria e imperialista ha avuto poco senso nel momento in cui tu stai reprimendo duramente le manifestazioni. L’Iran ha bisogno di cercare legittimità internazionale in questo momento anche per avere respiro economico, ma non è facile se poi non sei legittimato internamente. Secondo me la speranza reale dei manifestanti è guadagnare magari qualche minimo diritto civile per le donne”. 

Il mondo come sta reagendo?

“Sulla questione del regime change anche gli altri attori internazionali non li vedo così coinvolti. Biden mi ha ricordato tantissimo Obama nel 2009, che appoggiò il Movimento Verde facendo giusto un paio di dichiarazioni. Il presidente Usa ha fatto un discorso all’Onu appoggiando i manifestanti, ci sono state le sanzioni alla Polizia morale, ma non vedo grandi interessi dietro, anche perché la situazione internazionale è quella che è, e le priorità al momento sono altre”.

Nella regione invece?

“Il Medio Oriente in questo momento, per quanto sia strano dirlo, è una regione abbastanza cooperativa. Non è più quello del post 2011, delle primavere arabe, della guerra civile del 2015. Chi è che adesso ha interesse in una transizione violenta in Iran, dopo quello che è successo già in Afghanistan l’anno scorso? Magari qualche attore come Arabia Saudita o Israele per rendere più debole l’Iran in fase di trattativa per il nucleare, ma non penso”. 

Un ruolo lo potrebbe giocare la diaspora sparsa nei Paesi occidentali?

“Ho visto diverse manifestazioni davanti all’ambasciata iraniana a Roma. A Londra sono scoppiati anche un po’ di disordini. Però sono manifestazioni dall’impatto relativo, se poi non interviene un’istituzione politica. Al contrario c’è il rischio che poi il regime di Teheran le utilizzi per dimostrare che ci siano associazioni o gruppi esterni che appoggiano le proteste, usando la classica retorica del “sono proteste e manifestazioni dirette dall’esterno per rovesciare il regime”. Bisognerà vedere quanto il regime può spingersi nel reprimere violentemente le proteste, vista la maggiore diffusione con i social e la maggiore interattività rispetto al 2009”.

Le condizioni economiche dell’Iran sono così gravi? Perché così tanti giovani sono scesi in piazza?

“Lo sono sempre state. Poi con Trump, le nuove sanzioni, la pandemia e l’aumento dell’inflazione – che in Iran è veramente endemica – ci sono dati devastanti a livello socio-economico. Inoltre è uno dei Paesi del Medio Oriente con il più alto tasso di scolarizzazione universitaria fra i giovani, che sono tantissimi, e ha allo stesso tempo uno dei tassi più alti di disoccupazione giovanile. Quindi c’è uno strato di popolazione enorme, quello dei giovani, che studia e poi non riesce a trovare lavoro mentre vive sotto leggi anacronistiche. C’è quindi una classe media istruita non soddisfatta. In più c’è la disillusione che hanno avuto i giovani dopo aver visto firmare un trattato internazionale con gli Stati Uniti che non ha portato assolutamente a nulla. Tutto questo rischia di essere qualcosa di veramente incendiario”.

Luca Sebastiani

Mi chiamo Luca Sebastiani e sono laureato (triennale e magistrale) in Storia, ho poi frequentato un Master in Geopolitica e Sicurezza Globale. Un occhio di riguardo verso gli Esteri.