“Nell’ultimo periodo abbiamo avuto un lievissimo aumento del reddito medio delle famiglie e una lievissima regressione dell’inflazione generale, che non è comunque sufficiente. Questo potrebbe far pensare a una piccola crescita del potere d’acquisto delle famiglie. Ma in realtà non è così”. Ne è convinto Riccardo Moro, economista e docente di Politiche dello sviluppo all’Università Statale di Milano, che a Lumsanews chiarisce le ragioni alla base della crescita dei prezzi dei beni a largo consumo.
L’inflazione scende, ma i prezzi dei beni primari crescono. Come si spiega questo risultato?
“Se andiamo a scomporre il paniere attraverso il quale l’Istat misura l’andamento dei prezzi (ndr. il tasso di inflazione), vediamo che proprio il dato dell’1,6% misurato ad agosto dimostra che la spesa dei prodotti alimentari è cresciuta del 4%. In questo scenario, il potere d’acquisto dei nuclei familiari è molto ridotto. L’aumento è stato, invece, più contenuto sugli articoli per la casa: 0,5%. Questo significa che i dati dicono esattamente quello che le famiglie percepiscono. Non bisogna dimenticare, poi, che le aspettative delle persone incidono molto sulle dinamiche dell’economia”.
Come cambia la spesa delle famiglie dal Nord al Sud Italia?
“Abbiamo ovviamente tendenze del reddito più positive nel Nord Italia e molto più lente al Sud. In quest’area geografica, i nuclei familiari guadagnano redditi significativamente inferiori rispetto al livello medio. Questo comporta che l’andamento dell’inflazione, anche se contenuto, pesi comunque sulle famiglie che così sono portate a fare attenzione alle proprie spese. Non dimentichiamoci che la componente di nuclei familiari che vive a rischio di povertà o, come precisa l’Istat, di esclusione sociale è intorno a un quinto del nostro Paese. Una cifra molto elevata”.
Da cosa dipende la crescita dei prezzi?
“Il prezzo dei beni di largo consumo dipende anche dall’andamento dei mercati finanziari, cioè dall’andamento dei prezzi delle materie prime. Queste commodities (beni intercambiabili con altri beni dello stesso tipo – ndr.) vengono vendute attraverso contratti che hanno andamenti di aumento o riduzione di prezzi legati alla domanda e all’offerta di prodotti finanziari, titoli e asset. Il problema è che quando salgono i prezzi finanziari delle materie prime, schizzano anche i loro prezzi reali.
Anche il cambiamento climatico produce delle conseguenze che incidono sulla produttività. I fenomeni meteorologici distruttivi oggi sono più frequenti di quelli del passato. Basti pensare che a causa della siccità tutto il mercato del cacao e del caffè ha subito delle contrazioni di produzione che si sono trasformate in aumento dei prezzi. Vivere, poi, in un contesto geopolitico di aumento della violenza e delle guerre porta facilmente le persone ad avere un atteggiamento più pessimistico, anche nei confronti dell’economia”.
Cosa si può fare per invertire la rotta?
“Sicuramente abbiamo bisogno di una governance più forte in tutto il settore della formazione dei prezzi, soprattutto dei beni alimentari. Ci vuole un dialogo molto più robusto a livello nazionale – e anche internazionale – che affronti i nodi su cui la filiera italiana è vulnerabile. Se andiamo avanti senza regole e lasciamo fare al mercato, il risultato è che le famiglie a rischio di povertà continueranno ad aumentare”.


