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HomePolitica Pomicino: “Nella Prima Repubblica il partito era la scuola, oggi vedo solo tanti fan club”

Pomicino a Lumsanews
“Nella Prima Repubblica
il partito era la scuola”

“La formazione di oggi solo un’etichetta

vedo tanti fan club attorno al leader”

di Antonio Fera20 Novembre 2025
20 Novembre 2025

Paolo Cirino Pomicino | Foto Ansa

Paolo Cirino Pomicino, già ministro e figura di primo piano della Democrazia Cristiana, guarda con scetticismo alle nuove scuole di formazione politica nate negli ultimi anni. In questa conversazione con Lumsanews ripercorre il ruolo delle scuole di partito della Prima Repubblica e spiega perché, a suo giudizio, oggi mancano le condizioni minime per rendere possibile una vera formazione politica.

Che fine hanno fatto le scuole di partito come le Frattocchie del Pci o la Camilluccia della Dc?
“Sono scomparse insieme ai partiti veri. Oggi non ci sono più partiti con una cultura politica e una democrazia interna: solo comitati elettorali – o per meglio dire fan club – costruiti attorno a un leader forte”.

Le scuole politiche che gravitano attorno ai partiti che ruolo hanno?
“Spesso sono un controsenso: non sono gratuite – e quindi non sono a portata di tutti –, richiedono la tessera e non garantiscono un vero percorso politico. Ma soprattutto manca il terreno culturale e organizzativo affinché una scuola politica abbia senso”.

Durante la Prima Repubblica dove avveniva davvero la formazione politica?
“Negli organismi collegiali dei partiti. Riunioni interminabili in cui i giovani imparavano linguaggio, metodo e contenuti ascoltando dirigenti e parlamentari. Il partito stesso era la scuola”.

Come si confronta questo modello con quello di oggi?
“Oggi non c’è dibattito: nei partiti si applaude il leader e lo si segue perché si teme di restare fuori dai suoi listini bloccati alle elezioni. Congressi e organismi democratici sono diventati vuoti, o peggio solo spazi in cui ritagliarsi quanto più potere possibile. In queste condizioni non può esserci vera formazione”.

Le vecchie scuole erano anche strumenti di selezione della classe dirigente?
“Sì. Nel Pci venivano formati funzionari che poi entravano nelle istituzioni. Nella Dc la selezione avveniva soprattutto tramite la dialettica interna e la progressione nelle cariche. Prima facevi il consigliere comunale, poi possibilmente l’assesore. Poi forse ti candidavi alle regionali. La politica nazionale era l’ultima tappa di una lunga gavetta”.

Oggi invece si parla di “familismo” e “amichettismo” politico. Che ne pensa?
“Vedere intere famiglie in Parlamento è avvilente. Mogli, mariti, figli, cognati. La politica non può diventare un affare dinastico né un mezzo per beceri favoritismi. Anche perché così le istituzioni vengono rappresentate da persone prive di competenze e il dibattito stesso perde qualità. Nel 1989 uno dei miei fratelli volevano candidarsi con la Dc alle regionali in Campania. Io mi opposi e gli dissi scherzando: ‘In questo partito un Cirino Pomicino basta e avanza’.

Anche la notorietà è diventata un criterio di selezione?
“Esatto. Si candidano personaggi famosi o giovani promettenti. Senza formazione politica si sostituisce il merito con la visibilità. Un tempo c’era un percorso graduale”.

Lei come si è formato?
“Da autodidatta, nel dibattito interno alla Dc. Si cresceva nei ruoli diversi e si imparava dai maestri: De Gasperi, Moro, Andreotti. Oggi uno che vuole formarsi da quale politico va?”.

Me lo dica lei. Chi le sembra più preparato?
“Renzi è il più attrezzato sotto ogni punto di vista, ma gli manca l’idea della squadra. Conte è migliorato. Molti altri sono solo bravi a parlare per slogan, ma in fondo non hanno contenuti. Anche Meloni è figura di peso, ma non vedo in FdI una classe dirigente davvero preparata”.

Alla luce di tutto questo, ha senso parlare di scuole di formazione politica oggi?
“Finché i partiti non avranno identità culturale e democrazia interna, le scuole politiche saranno solo etichette vuote. Meglio spendere tempo e soldi in altro”.

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